“Mi piacerebbe che qualcuno ti insegnasse a stare da solo, ti salverebbe la vita. Non dovrai rincorrere la mediocrità per riempire vuoti, né patire uno sguardo o un’ora d’amore”con questa citazione Crepet, psichiatra, studioso della mente umana esordisce in un suo libro in cui analizza alcune problematiche del mondo adolescenziale e su questa scia nascono alcune riflessioni su un tema sempre più attuale verso il quale molti studiosi si stanno interrogando e studiando il fenomeno “ solitudine” al tempo della tecnologia .
Mai come ora siamo ipnotizzati da internet ed i social in generale, sempre connessi, siamo tanto spavaldi quanto tremendamente soli.
Abbiamo l’illusione di essere sempre in contatto col mondo, ragiungibili ovunque , sempre nel palcoscenico con le immagini della nostra vita che continuamente mettiamo in mostra, raccontando cosa abbiamo fatto, dove siamo stati e con chi condividiamo il nostro tempo, una vetrina pubblica che nasconde dell’altro. In realtà siamo sempre più soli, nel chiuso delle nostre case e vite, siamo sempre un po’ di più, fragili. Attenzione però, scrive Andreoli, la fragilità non và confusa con la debolezza. La fragilità è una caratteristica dell’uomo come lo è di un vaso di murano, il fatto che sia fragile non toglie che sia bello e prezioso, la debolezza è invece mancanza, siamo fragili, ma anche deboli, manchiamo di personalità spesso, ed internet è un non luogo dove tutto questo spesso si manifesta. Mostriamo agli altri quello che realmente non siamo, forti, carismatici, sorridenti, postiamo foto che fanno vedere la parte migliore di noi, ma poi quanti sanno veramente chi siamo, quanti conoscono le nostre paure, quanti conoscono realmente la nostra storia.
In questa fragilità che un po’ ci accomuna tutti ci riscopriamo soli, viviamo quella che il sociologo Bauman definisce “la solitudine affollata”, ricerchiamo continuamente relazioni ma nei termini del grado di godimento che questa generano, una volta consumate siamo anche liberi di eliminarle anche con un semplice clik. Abbiamo bisogno di esternare chi siamo, sentiamo forte il bisogno di appartenere, ma il senso di appartenenza sta nel parlare, nel dire qualcosa, non importa cosa, poca importanza viene data al contenuto , da qui quanto scriveva Umberto Eco, appare più che mai significativo, il mondo virtuale ha dato voce a tanti “imbecilli”, una democrazia dell’ignoranza spesso, dove tutti hanno in qualche modo possibilità di esprimersi sebbene in modi spesso strani, bizzari, alle volte soltanto per dire “che esistono”.
Ognuno di noi dovrebbe poter vivere una vita sociale appagante e costruttiva, c’è chi cerca la solitudine poiché meno angosciante della sconfitta temuta nel campo della competizione, c’è chi ne è vittima e conosce la triste dimensione dell’isolamento, dell’abbandono che è la peggiore delle solitudini poiché non si lega a una dimenticanza, ma a un rifiuto consapevole di chi dovrebbe prendersene cura.
Non sopportiamo il silenzio, facciamo rumore per vincere la solitudine, la nostra società ci ha insegnato a nascondere il pianto, è una società priva di legami forti, ma nello stesso tempo assetata di legami. Insegnare a saper stare da soli con se stessi, salverebbe tanti giovani e non a vivere una vita più sana, più vera, tanti pinocchi crescono e si trasformano con l’età, in amanti, borderline, bugiardi.
Laddove non sì è capaci di meditare perchè alla ricerca sempre di una sovrastimolazione sensoriale lì c’è un disagio. Dunque servirebbe una scuola che insegni a saper gestire la solitudine, le emozioni forti, a saper esplorare il sé con tutta la fatica che questa comporta.
I social sono diventati una droga di parole, che ci danno la sensazione di essere nel mondo, senza più sapere cosa sia il mondo. La continua ricerca del like è una ricerca di “piccole carezze” che montano il nostro ego e ci fanno sentire popolari, amati seguiti. La vita vera è tuttaltra cosa è fatica, ricerca del consenso ma con fatti reali, dobbiamo imparare come scrive Vasco Rossi, in una sua canzone a farci bastare.
Ne parliamo da troppo tempo, dei pericoli di un uso spropositato della rete, ancora tuttavia siamo inghiottiti dalla novità dell’essere visibili sempre e comunque , confondiamo l’essere con l’apparire , siamo invisibili manovratori di noi stessi, recitiamo un copione che prima o poi può confonderci ed inghiottirci, non dobbiamo accontentarci tutto ciò che è facile dice Crepet è stupido, stare in rete può diventare se usato male, molto stupido, riappropiamoci della capacità di scegliere con chi essere, chi essere ma nella vita reale soprattutto, li è difficile la scommessa della vita, un posto in teatro prima o poi invece si trova sempre, basta “comprare” il posto, nella vita non è cosi .

Sabrina Miriana