Forte sfiducia verso le istituzioni e la politica da parte degli studenti (espressa da quasi l’85% degli intervistati) ma anche voglia di legalità a tutti i livelli. Ribadita la posizione netta contro mafie, criminalità e corruzione: combattere la mafia è possibile soprattutto colpendola nei suoi interessi economici e, in via indiretta, combattendo corruzione e clientelismo e coltivando la cultura della legalità, rivendicando i propri diritti e rispettando quelli altrui. Dedicarsi a chi ha bisogno, fare volontariato e difendere l’ambiente sono le prime e principali strategie di impegno individuale a sostegno della comunità. Queste le principali indicazioni emerse dall’annuale indagine sulla percezione mafiosa condotta tra oltre duemila studenti partecipanti al Progetto Educativo Antimafia promosso dal Centro Pio La Torre di Palermo e che ha coinvolto circa diecimila studenti in tutta Italia.

L’indagine, giunta al decimo anno, è stata presentata stamattina alla Commissione Nazionale Antimafia, a Palazzo San Macuto, Roma alla presenza del Presidente della Commissione Rosy Bindi che parteciperà anche il prossimo 30 aprile, al Teatro Biondo di Palermo, all’iniziativa in ricordo del 34° anniversario dell’uccisione di Pio La Torre e Rosario Di Salvo. La manifestazione, d’intesa con la Presidenza della Commissione Antimafia, sarà anche l’occasione per ricordare il 40° anniversario delle relazioni del 1976 della Commissione Antimafia tra le quali quelle di minoranza, firmata, tra gli altri, da Pio La Torre e Cesare Terranova.

La sfiducia degli intervistati nei confronti della classe politica è elevata (84.7%) e il 48% ritiene che la mafia sia più forte dello Stato, e solo il 31,50% considera possibile sconfiggerla definitivamente. “I risultati delle risposte complessive degli studenti – sottolinea Vito Lo Monaco, presidente del Centro Pio La Torre – da un lato offrono uno spaccato dell’evoluzione della loro percezione sulla negatività del fenomeno mafioso e del loro rifiuto di incontrarlo; dall’altro mostrano quanto sia cresciuta in questi giovani la consapevolezza che corruzione, mafia e politica sono strutturalmente sempre più collegate, che una rivoluzione legalitaria è necessaria per lo sviluppo del paese. Tutto ciò – continua Lo Monaco – sembra un’invocazione di correzione rivolta alla classe dirigente del paese. Pur in presenza di risultati apprezzabili sul piano della repressione, rimangono ancora insoddisfacenti quelli sul terreno della prevenzione. I recenti fatti – da Mafia Capitale allo scandalo della gestione dei beni confiscati e al metodo mafioso corruttivo esteso sino al traffico di influenze – non aiutano a far crescere la fiducia tra i giovani, tra l’altro alle prese con un futuro lavorativo ancora incerto, che si preparano a una vita di precari. Però dimostrano quanto sia avvertita l’esigenza di vedere inserita la questione delle mafie, come della corruzione, tra le priorità che il sistema politico, istituzionale, economico devono saper affrontare e risolvere. Tra le nuove generazioni c’è un forte bisogno etico di veder crescere la fiducia in un futuro diverso”.

I risultati del report
L’indagine è stata condotta tra giovani studenti delle 3°, 4° e 5° classi di alcuni Istituti di scuole medie superiori distribuiti a macchia di leopardo su tutto il territorio nazionale. Il campione non può essere considerato rappresentativo in termini statistici, in quanto per la sua determinazione non è stata utilizzata la tecnica del campionamento probabilistico ma rappresenta l’espressione di una scelta autonoma di alcuni studenti e docenti di Istituti scolastici che, sensibili alle tematiche sulla legalità, hanno volontariamente aderito alle finalità del progetto.
Alla domanda su quanto pensino che la mafia sia diffusa nella propria regione, il 50,37% dei ragazzi intervistati ha risposto abbastanza, il 32,59% molto, il 15,21% poco e il restante 1,83% per nulla. Rispetto agli anni precedenti si osserva un trend moderatamente crescente della risposta molto mentre subisce una leggera flessione la risposta abbastanza. Nell’azione di accompagnamento ad una elaborazione critica del fenomeno mafioso, il ruolo più importante è affidato alla scuola e alla famiglia. A questo proposito, alla domanda “Con chi discuti maggiormente di mafia”, il 62,65% dei rispondenti individua nella scuola il luogo maggiormente deputato ad affrontare tematiche legate all’ingerenza della criminalità mafiosa, mentre soltanto il 29,32% dei ragazzi intervistati, sostiene di discutere di questi argomenti in famiglia. Il 20,31% dei rispondenti dichiara di parlarne fuori dalla scuola con amici o conoscenti e il 20,16% con altri studenti. Il rimanente 6,64% dichiara di non parlarne mai con nessuno. Gli stessi dati, non registrano negli anni differenze rilevanti, al contrario, confermano come sia proprio l’impegno del corpo docente, rispetto anche a quello delle stesse famiglie, ad avere il ruolo più marcatamente attivo nell’azione di promozione della cultura della legalità e di forme di partecipazione attiva. Durante il loro excursus scolastico il campione intervistato dichiara di avere affrontato tali tematiche soprattutto durante gli anni delle superiori (il 68%), contro il 56,81% della scuola media inferiore e il 26,25% della scuola elementare.
Sulla percezione del rapporto tra fenomeno mafioso e mondo della politica, gli intervistati hanno dichiarato per il 47,89% di ritenerlo molto forte, il 45,72% abbastanza forte, debole il 3,32%, inesistente lo 0,99% e non so il 2,08%. Un risultato che conferma la consapevolezza negli intervistati del rapporto stretto tra mafia e politica. Un do ut des di favori reciproci che i giovani hanno imparato a riconoscere e con i quali, sono consapevoli, dovranno scontrarsi in un’ottica di possibilità per il proprio futuro professionale. Infatti, alla domanda se si ritiene che la presenza della mafia possa ostacolare nella costruzione del proprio futuro, ben il 36,75% ha risposto sì, molto, il 28,03% sì, poco, il 18,47% no, per niente e il 16,74% non so.

Mafia più forte dello Stato
Chi legge queste risposte non può non cogliere un senso d’impotenza e rassegnazione nei rispondenti, che trova la massima espressione nella risposta alla domanda: “A tuo avviso, tra lo Stato e la mafia chi è più forte?”, dove il 48,04% ha risposto la mafia, mentre sono ugualmente forti il 27,24% e solamente il 13,92% dichiara di mostrare maggior fiducia nello Stato. Ancora più sconfortante è il quadro che emerge dalle risposte alla domanda: “Secondo te, il fenomeno mafioso potrà essere definitivamente sconfitto?”, dove la risposta no prevale sul sì anche quest’anno in maniera rilevante. In particolare: il 39,57% ha risposto no, il 31,50% sì, mentre il 28,93% non so.

L’indagine tra gli universitari
Per la prima volta quest’anno il Centro ha somministrato un questionario sulla percezione mafiosa anche agli studenti universitari. Sono stati 248 i questionari completati nelle varie università siciliane, 200 dei quali in quella di Palermo. Alla domanda sulla diffusione della mafia nella propria regione gli universitari, rispondono molto nel 63,56% dei casi, mentre gli studenti di scuola lo fanno solo nel 32,59. “La percezione della diffusione del fenomeno sul territorio appare piuttosto alta – sottolinea Adam Asmundo, ordinario di Economia e Politica dello Sviluppo all’Università di Palermo – ma a una seconda lettura le conoscenze dirette appaiono appena sufficienti a qualificare il dato: un’ottima conoscenza del fenomeno è dichiarata da poco più del 5% degli intervistati, si tratta quindi di una percezione diffusa ma piuttosto superficiale (“sufficiente” per il 65% dei casi). Da dove provengono le informazioni? Dalla scuola, in un 65% dei casi, e dalla famiglia (30% delle risposte) nel caso degli studenti medi, mentre per quanto riguarda i mezzi di informazione le risposte sono fortemente differenziate per classi di età. Gli studenti medi citano televisione e giornali, mentre per gli universitari nell’ambito dei media i mezzi tradizionali, come programmi radio-televisivi e meno che mai i giornali, non hanno il ruolo rilevante che avevano in passato: i mezzi di informazione principali diventano i libri e internet; il mezzo televisivo presenta un’incidenza più modesta del cinema. Un panorama informativo che diviene dunque dicotomico, fra lettura approfondita del fenomeno (libri e cinema), letteraria e comunque colta, e informazione generale (nell’ambito della quale il web tende a sostituire i tradizionali media).
Gli universitari parlano dell’argomento in famiglia quasi nel 70% dei casi, gli studenti liceali nel 52,45. I primi avvertono molto la presenza mafiosa nella loro città nel 30% circa dei casi, i secondi nel 10, 45. A proposito delle attività mafiose, i primi citano al primo posto la droga, ma un po’ meno dei secondi, e poi le estorsioni nel 21,86% dei casi, mentre solo 6,54 studenti di scuola su 100 vi fanno riferimento. Per il 58,7% dei primi la mafia incide molto sull’economia della loro regione (qui è solo quella siciliana). Tra gli scolari il molto è stato invece scelto dal 27,79%. Alla domanda su chi sia più forte tra Stato e mafia, il 31,98% degli universitari ha detto lo Stato, il 28,34% la mafia.
“Ecco qualcosa che deve far molto riflettere – spiega Antonio La Spina, docente di Sociologia della Luiss di Roma – evidentemente il tipo di rappresentazione che delle mafie passa nel sistema della comunicazione di massa è ancora quello che le dipinge come entità invincibili, quindi più forti anche dello Stato (a sua volta spesso e ossessivamente raffigurato come intimamente corrotto, anche nelle sue posizioni più elevate)”.
Dalle risposte – è il commento del professore di criminologia Ernesto Savona – emerge un bisogno etico. Bisogno accompagnato però da una certa sfiducia nelle istituzioni pubbliche e da un attaccamento alle figure a loro vicine come gli insegnanti. Il problema è proprio quello di alimentare il bisogno etico con la fiducia. La grande scommessa che il nostro paese e tutta l’Europa devono fare è quella di ragionare dei diversi perché e di dedicare più percentuali di PIL ad investire sui giovani in prevenzione precoce alimentando la fiducia che la politica si occupa di loro non solo quando votano (troppo tardi) ma quando stanno crescendo negli asili nelle scuole nelle Università. Un investimento che in futuro sarà compensato da meno criminalità e terrorismo”.

La simbiosi tra mafia e area grigia del Paese
Il fenomeno mafioso è sempre più difficile da intercettare con gli schemi interpretativi ricavabili dalle fattispecie del codice penale, nonostante i tentativi di adattamento legislativo, come la modifica dell’art. 416ter sullo scambio politico-mafioso. Ma la consapevolezza della loro rilevanza sembra ben radicata nelle giovani generazioni, a giudicare dalle risposte degli studenti. “Si prenda la domanda su quali siano le attività illegali che rappresentano campanelli d’allarme della presenza mafiosa sul territorio – sottolinea Alberto Vannucci, docente di scienza politica all’Università di Pisa – dopo le attività criminali più tradizionali (spaccio di droga per il 46%, rapine per il 17%, estorsioni per il 7%), sono i segni del “degrado quotidiano” a inquietare di più gli intervistati (lavoro nero per il 15%, abusi edilizi per l’8%), e poi la pratica della corruzione, sia degli amministratori pubblici (9% delle risposte) che degli elettori (6%) tramite il voto di scambio e la compravendita del voto. E’ infatti una “democrazia in svendita” quella che i soggetti criminali portatori di un considerevole potere d’acquisto – stante la loro capacità di riciclare i proventi delle altre attività illecite – piegano ai propri fini, esercitando a pieno il loro potere corruttivo e convertendo in una “merce” liquidata al migliore offerente l’esercizio di un potere pubblico che dovrebbe essere rivolto a tutelare interessi collettivi, specie quelli delle classi più deboli”.

Le differenze territoriali
La presenza mafiosa è percepita in modo differenziato nelle diverse aree del Paese. “Nel complesso – è l’analisi di Rocco Sciarrone, professore di sociologia dell’Università di Torino – quasi l’83% degli studenti interpellati ritiene che la mafia sia molto o abbastanza diffusa nella propria regione: questa percentuale raggiunge però il 95% nelle regioni di insediamento tradizionale, mentre si assesta al 71% nelle altre regioni meridionali e al 52% in quelle centro-settentrionali. In linea con questa risposta, la presenza della mafia è avvertita concretamente nella propria città (molto o abbastanza) da oltre il 40% degli studenti, ma con forti differenze territoriali: 74% nelle regioni di insediamento tradizionale, 45% nelle altre regioni del Sud e 21% in quelle del Centro-Nord”.
“D’altra parte – continua Sciarrone – appare diversificato anche il livello di conoscenza del fenomeno mafioso: è infatti ritenuto sufficiente dal 69% degli studenti di Sicilia, Calabria e Campania, ma soltanto dal 56% di quelli delle regioni del Centro-Nord. Per tutti è la scuola il luogo in cui si discute maggiormente di mafia, soprattutto con i docenti, anche se questi ultimi sono più propensi a trattare argomenti che aiutano a conoscere il fenomeno nelle scuole delle regioni di insediamento tradizionale (60%) che non in quelle del Centro-Nord (44%). È interessante osservare che le attività di educazione antimafia sono nettamente più sviluppate in Sicilia, Calabria e Campania con riferimento alla scuola elementare e a quella media inferiore, mentre le regioni del Nord sono più attive nella scuola secondaria superiore. Gli studenti siciliani, calabresi e campani hanno inoltre tassi di fiducia più elevati nei confronti degli insegnanti rispetto ai loro compagni del Centro-Nord (l’86% esprime molta o abbastanza fiducia contro il 76%). Un livello di fiducia più elevato si registra anche nei confronti dei magistrati (60% contro 53%), mentre simile (intorno al 70%) è la fiducia nei confronti delle forze dell’ordine”.

Il ruolo fondamentale della scuola
“L’indagine – spiega l’economista Franco Garufi – conferma ancora una volta il ruolo fondamentale della scuola nella diffusione della cultura della legalità e per la conoscenza del fenomeno mafioso. Il 62,65% degli studenti afferma infatti di discutere di mafia nell’ambito scolastico mentre solo il 23,32% ne parla in famiglia. Non a caso la categoria verso la quale si nutre maggiore fiducia è quella degli insegnanti (33,63%), seguita dalle forze dell’ordine (23,97%) e dai magistrati (20,70%)”. “Il 41,41% degli studenti – continua Garufi – considera la mentalità come base per l’affermazione della mafia e secondo il 48,09% la mafia resta più forte dello Stato. Basta intrecciare questi due dati, il primo relativo a come il giovane analizza a livello intuitivo la società in cui vive, il secondo alla percezione dei rapporti di forza tra la criminalità organizzata e chi ha il compito istituzionale di prevenire e reprimere i comportamenti devianti, per accorgersi, ancora una volta, che l’accento va spostato sull’educazione, sulla capacità di cambiare valori e comportamenti a partire dalla vita quotidiana.

Il report integrale è disponibile su ASud’Europa scaricabile dal sito www.piolatorre.it