Prima di entrare nel merito del libro, ritengo necessaria una brevissima premessa che vuole evidenziare il senso della mia presentazione, perché è evidente che chi riflette su un libro e ne parla, inevitabilmente lo fa dal suo punto di vista, sempre parziale. E allora, come ho già detto a Fra Aurelio, il mio intervento è quasi paradossale, dal momento che, è noto, non sono una grande frequentatrice di chiese e per nulla di facebook. Tralascio il primo aspetto relativo alle mie difficoltà religiose, per dire che la mia assenza da facebook non è una distrazione, ma una scelta, dovuta al disagio che questo social mi crea per l’immediatezza con cui tante persone intervengono su qualsiasi fatto o evento, come se tutte fossero esperte di tutto e in grado di esprimere la propria opinione in tempo reale. Questa tempestività mi confonde e mi disorienta, dal momento che io ho bisogno di tempi lunghi, quelli della riflessione: ho necessità di lasciare decantare un’informazione dentro di me per poter esprimere un’opinione e devo confessare, ma evidentemente è un mio limite, che non sempre mi sento preparata per affrontare determinati argomenti.
madonielive1Così, quando Fra Aurelio, con l’affabilità e la simpatia che lo contraddistinguono, mi ha chiesto un intervento sul libro “Un amico su facebook”, non nascondo di aver provato un certo imbarazzo: ma come avrei potuto dire di no ad una persona per la quale nutro profonda stima e a cui mi lega un affetto che dura da quasi trent’anni? Questi due elementi, insieme ad un pizzico di incoscienza, mi hanno condotto ad accettare l’invito e colgo l’occasione per ringraziare subito, per la fiducia nei miei confronti, Domenica Ferraro e Maria Rosa Cocilovo.
“Un amico su facebook”, dunque: non è un mio amico su facebook (lo è nella vita reale), ma devo riconoscere che Fra Aurelio ha creato sul social uno spazio di riflessione importante, un luogo virtuale per dare voce a valori, valori universali validi per tutti e in ogni luogo, per i cristiani e per i non cristiani, tanto che spesso c’è il riferimento, con un linguaggio prossimo a quello giuridico, ai valori e ai diritti inalienabili della persona (vita, lavoro, scuola, salute, casa, famiglia, fede religiosa, libertà…), alla legalità (intesa non come conformismo legale, ma come cittadinanza attiva) e all’autenticità della partecipazione agli eventi storici.
Se dovessi cercare il filo conduttore del testo nella sua completezza, direi che è il senso della circolarità.
Già nella presentazione Fra Aurelio prende le mosse da “un invito pressante a non ripiegarsi su se stessi, a non crogiolarsi nei propri pensieri, a non rimuginare le stesse cose in circoli chiusi… a bruciare d’amore per dire ciò che si è ricevuto e che detta dentro l’animo, per comunicarlo agli altri”.
E poi, quasi in conclusione (pag.89): “Il nostro pensare e agire a volte ci fa vivere in circoli chiusi”.
È presente, dunque, un doppio significato della circolarità: quello della chiusura agli altri, che ci deprime e depriva, mentre dovremmo aprirci agli altri in una circolarità (e uso il termine volontariamente) che ci arricchisce, e quello di un percorso che si chiude quasi con il punto di partenza, con la necessità di non “vivere in circoli chiusi”.
Perché non bisogna chiudersi? Perché “ -voi siete il sale della terra… voi siete la luce del mondo… – Attenzione ai verbi che sono al presente e non al futuro! Essi ci impegnano dentro questa nostra storia quotidiana per rendere saporiti e trasparenti i nostri rapporti con noi stessi, con gli altri, con la realtà creata, e con Dio”.
Il sale… la luce… rendere saporiti i nostri rapporti… Fra Aurelio, attingendo alla fonte evangelica, amplifica nella sua scrittura il valore dei sensi, dei sapori, dei profumi, dei colori, metafora di quel bruciare d’amore di cui aveva parlato nella presentazione: sensi intesi come porte e finestre che fanno entrare la realtà esterna e gli altri dentro di noi.
E la circolarità è presente nel dogma della Trinità che “è il primo mistero del Credo cristiano. È circolarità di vita che si dà e accoglie; è armonia dei diversi; è rispetto del ruolo altrui; è condivisione e partecipazione alla gioia altrui”. L’espressione che mi colpisce di più è quella relativa all’armonia dei diversi, convinta come sono, per sensibilità personale e professionale, che ciascuno di noi è portatore di una sua diversità e solo con l’accoglienza dell’unicità dell’altro potrà crearsi una sinfonia di umanità. D’altra parte, come dice Padre Aurelio, “agli occhi di Dio non ci sono stranieri o pagani”.
Dalla necessità di uscire dalla circolarità chiusa, che non ci fa vedere la vita degli altri, che ci rende aridi e privi di colore, derivano due percorsi che si incrociano più volte: il primo è il rispetto per gli altri (che deve diventare azione e che è “garanzia di nuova civiltà”) e il secondo è l’autenticità di vita.
Dice Fra Aurelio: “Consolare è mettersi nella situazione dell’altro, è capire le sue afflizioni, è partecipare al suo dolore, è condividere, è sollevare dalle umane debolezze”. E inoltre: “La croce resta sempre la compagna fedele dell’uomo in quanto si è invitati a portarla o a sollevarla dalle spalle degli altri… Quanti crocifissi, ancora oggi, attendono di essere schiodati, amati, curati…! La loro sete di amore, di presenza e di giustizia può essere lenita anche dal nostro profumo di carità che verseremo su di loro e per loro”. “Non si vive da soli, si vive sempre con gli altri e per gli altri”. “Asteniamoci da ogni forma di egoismo, di appropriazione indebita, di critiche e giudizi malevoli sugli altri, di inconscia ricerca di protagonismi, di peccato”. “Contempliamo il Cristo che continua a morire: nell’innocente condannato… nel malato trascurato… nel fanciullo indifeso… nell’uomo di colore non rispettato… nel povero non aiutato… ; ma il Cristo risorge in ogni gesto di solidarietà e di amore che facciamo”. Dobbiamo “relazionarci con gli altri nel rispetto, nel dialogo, nell’accoglienza, fino a farci considerare l’uomo, diverso da noi per cultura, colore, contesto abitativo, come nostro fratello. E allora, rapporti nuovi e vitali si instaureranno tra i popoli e le nazioni”.
Come non pensare a Papa Francesco a Lesbo, tra i disperati in fuga alla ricerca di una opportunità esistenziale, e alle sue parole più toccanti: “Sono qui semplicemente per stare con voi”.
Bisogna essere generosi : “Nel tesoro del tempio i ricchi gettano molte monete, la vedova invece vi getta un soldo, cioè tutto quello che ha per vivere. Chiediamoci: chi è più generoso? “ “Diffido dell’elemosina che non costa e non duole”
Come dicevo prima, per Fra Aurelio il rispetto deve diventare azione, come quella del papa, perché “Non è sufficiente dire sì a parole, è necessario muoversi”. E la sua parrocchia si muove, è azione, basti pensare all’accoglienza dei meno fortunati, alle collette alimentari, alla missione in Etiopia…
Ed è bellissima l’espressione per cui “… se non tutti possiamo essere ricchi, tutti però possiamo essere umili”, che racchiude, a mio avviso, tutto il senso del rispetto che dobbiamo a noi stessi e agli altri, nella condivisione e nella compassione, nel senso etimologico del termine, del soffrire insieme.
A questo punto possiamo incrociare il secondo percorso di cui parlavo prima, quello dell’autenticità: “Quanti ristori noi cerchiamo…? A quante cisterne, il più delle volte screpolate, noi attingiamo…? Chi è invece colui che ha un’acqua che zampilla, limpida e genuina, e che disseta pienamente…?” “Quante volte partecipiamo agli eventi, sia storici che di fede, solo fisicamente e non spiritualmente… per abitudine… per superficialità, con il cuore e la mente protesi sulle nostre cose, i nostri affari e interessi!” “Il sano e saggio vivere comporta un duplice movimento: venire e andare; entrare e uscire; contemplare e annunziare; ricercare e accogliere; lasciarsi amare e amare; ricevere e dare…”
È una caratteristica della scrittura di Fra Aurelio quella di procedere per antitesi, alla ricerca di una concordia oppositorum, di un duplice movimento che mi appare, anch’esso circolare, ma di una circolarità diversa, che mette in moto sentimenti di amore, solidarietà e autenticità di vita. Così come ampio uso fa dei punti di sospensione, usati come invito alla riflessione, come una pausa che rallenta la lettura, in controtendenza rispetto alla velocità di cui parlavo prima, come un messaggio lasciato volutamente aperto e che il lettore dovrà sforzarsi di arricchire attingendo alla sua interiorità.
E nell’affermazione della necessaria autenticità, Fra Aurelio, relativamente al periodo dell’Avvento, afferma: “Non con folklore, con luci, con panettoni, con regali… ma con una vita rinnovata nell’amore reciproco che sappia di pace, giustizia, rispetto, carità, onestà, genitorialità responsabile, legalità…”
E non parliamo degli interventi su Halloween e della deviazione della nostra tradizione religiosa verso culture a noi del tutto estranee.
“Esteriore o interiore; tradizioni degli uomini o comandamenti di Dio; pratiche devozionali o vangelo; libertà o condizionamento; osservanza legalistica o coscienza retta… “.
E purtroppo come non evidenziare “… modi e stili di vita che spesso sanno di compromessi, di violenze, di odi, di ingiustizie, di sensualità, di arrivismi…”
Il nostro amico su facebook afferma: “Profeta è colui che parla apertamente con coraggio, non scende a compromessi, non si lascia condizionare da altri e, in ossequio alla verità, per il bene della persona e la difesa dei diritti inalienabili della persona, è disposto a dare la vita […] denunciando, rinunciando, annunciando. Ma non si può denunciare se non si rinuncia a ciò che si denuncia, e non si può rinunciare se la rinuncia non è motivata da quella Parola che accolta e meditata ci spinge ad annunciare”. “Si è facili a denunciare e poco propensi a rinunciare, per cui l’annuncio non produce effetti. Non si può chiedere la conversione, se non viviamo da convertiti”.
Anche in questo caso la scrittura è ricercata, non nel senso solo formale ma sostanziale, in cui la ricerca e, direi, il gioco etimologico, è volto a dare il giusto peso alle parole, parole che devono diventare azione.
Denunciare, rinunciare, annunciare, senza seguire il profeta di turno, perché “si rischia di perdere la strada maestra e si naviga nel buio, con il rischio di perdersi nei meandri di falsi e sedicenti santoni. Il vero miracolo, che è sempre presente, è umile, non fa chiasso ed ha seri referenti: il miracolismo invece fa rumore, aggrega folle e si fonda sull’emotivo e sul sensazionale, e spesso ha il proprio io come esclusivo referente”.
Così anche a Nazaret “non volevano un Gesù ordinario ma un Gesù straordinario con quei segni che aveva compiuto altrove. E Gesù si meraviglia di questa loro incredulità. Ci dimentichiamo che l’ordinarietà della vita ha un valore di straordinarietà. Anche a noi viene richiesto questo suo stile di vita”.
E sempre sul solco dell’affermazione di una vita autentica, Fra Aurelio afferma: “Oggi possiamo considerare lebbra: le nostre incrostazioni di abitudini, di lentezze, di ignavia, di indolenza, di legami morbosi a certe fragilità e peccati che, se toccano il nostro corpo solo di riflesso, inquinano però l’atmosfera, putrefacendo le relazioni che restano incancrenite e non rendono più disponibili alla rigenerazione”. “Gesù sferza i mercanti del tempio cacciandoli. La sua casa è casa di preghiera. Chiede una preghiera semplice, pura, da figli al padre, non egoistica ma comunitaria sia nella modalità che nel contenuto… Il culto gradito a Dio non è nemmeno quello dell’ipocrita (per farsi vedere), o quello delle circostanze (opportunista), o quello festaiolo (folklore religioso), ma quello di una vita tutta orientata a Lui in spirito e verità”. “La preghiera infatti non è mai evasione dal mondo, ma è invasione del divino nel mondo”.
Tema di grande attualità è quello relativo agli sprechi alimentari, per cui possiamo fare riferimento ad una recente inchiesta di National Geografic secondo la quale si potrebbe sfamare gran parte del mondo solo con quello che i produttori eliminano perché non risponde ai nostri canoni estetici, secondo cui la frutta e gli ortaggi devono avere un certo aspetto.
“Molta folla seguiva Gesù… Prese i pani e i pesci e li distribuì; e dopo che furono sazi disse: Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto; e raccolsero dodici ceste. Se c’è equa distribuzione e fraterno servizio, nessuno resterà escluso dal suo bene primario: il cibo quotidiano che soddisfa la fame. L’incontro con Gesù nulla toglie. Egli con il suo esempio ha sempre sollecitato e sollecita tanti a condividere e a distribuire, e mai a sprecare. Purtroppo quante intelligenze non riconosciute… quante fughe di intelletti… quante capacità inoperose… quanta imprenditoria accumulatrice… quanto spreco sulle nostre tavole festaiole… Se, singolarmente e comunitariamente, pensassimo che tanti non hanno quello che noi abbiamo, e se questo lo mettessimo a servizio recupereremmo e promuoveremmo tanto bene. L’uso retto dei beni dà la possibilità di avere tutti qualcosa. Nel numero dodici delle ceste c’è il pane per tutti, che può provenire solo dal coraggio dello spezzare e del condividere”.
Un tema che mi sembra particolarmente interessante è quello relativo al rapporto degli uomini con gli animali e parto dall’elemento di positività di questo rapporto. Dice Fra Aurelio, a proposito della benedizione degli animali, che essi “sono nostri amici fedeli. Gli animali domestici, che ci fanno compagnia e che ci aiutano con la loro presenza a saper guardare oltre gli ostacoli della nostra vita, ci invitano altresì a saper attenzionare il fratello e la sorella che si trovano in situazioni particolari di bisogno, per dar loro attimi e momenti di serenità”.
Ma “In facebook vedo l’attenzione verso gli animali… Cosa direste se tenessimo particolare cura al povero, all’indifeso, al malato, all’anziano, al senza tetto… adottandolo come un membro di famiglia?”.
Questo mi fa molto riflettere su quanta attenzione dedichiamo ai nostri animali domestici, cani e gatti, e a quanta pubblicità e a quanta economia ruota intorno ad essi, a quanto siamo disposti a spendere per il loro prezioso cibo o per rendere loro la vita confortevole, sempre perfetti, lucidi e lisci, chiusi nel nostro piccolo mondo protetto… ma se ci guardassimo un po’ intorno forse vedremmo che la povertà non è un concetto astratto, ma una realtà che vive accanto a noi, distratti mentre corriamo a prendere i croccantini per i nostri adorati gatti. Gli animali vanno rispettati e amati, ma non vanno né umanizzati, né idolatrati.
E inoltre: “Gli animali vengono protetti e ormai entrano nell’habitat mettendo in pericolo la vita dell’uomo, come è già successo nelle campagne di Cefalù, mentre l’uomo povero e mendicante di amore, viene rimandato indietro nelle periferie di guerra… di fame… di ingiustizie… Adotteremmo uno di questi poveri?”
Fin qui ho voluto evidenziare il carattere universale degli interventi di Fra Aurelio, ma il nostro “amico su facebook” non dimentica la comunità cefaludese e afferma: “La comunità cefaludese ha una potenzialità di mente e di iniziative non indifferenti: esse, a mia modesto avviso, vanno sempre più coordinate in modo che la proposta di uno sia accolta e condivisa con gioia e partecipazione di tutti. Mi auguro che dal personalismo e individualismo si possa arrivare alla comunione, e, nella coralità, manifestare una comunità sempre più viva e attenta ai bisogni emergenti di tanti fratelli bisognosi di testimoni credibili. Il motto che assumo è: Non solo meglio insieme, ma soprattutto insieme meglio”.
In generale “Il vero dialogo, la vera arte della politica, il sincero rispetto delle scelte religiose… operano sempre incontri costruttivi. Le offese verbali o armate scatenano violenze e danni incalcolabili”.
Molto interessanti le riflessioni sulla donna, ma non voglio soffermarmi anche su queste, solo concludere con un’immagine femminile che mi ha molto colpita: “anche Maria ha pellegrinato nella fede: questa sua ricerca approda nell’Eccomi, nel Fiat e nell’esplosione del Magnificat”.
Un sincero grazie a Fra Aurelio per avermi regalato questa opportunità.

Rosalba Gallà
foto: Pino Parisio