In questi giorni, come gli scorsi anni del resto, si torna a parlare di processionaria da Pino. Il fenomeno stagionale,che riguarda anche molte zone delle Madonie, che si verifica puntualmente ogni anno e che crea disagi e pericolosità per animali e bambini.
Le Amministrazioni locali stanno limitando le difficoltà intervenendo ove possibile.
La processionaria del pino (Thaumetopoea pityocampa) è
un lepidottero appartenente alla famiglia Notodontidae, diffuso in Eurasia e Nordafrica.
Si tratta di un insetto altamente distruttivo per le pinete poiché le priva di parte del
fogliame, compromettendone così il ciclo vitale.

Spieghiamo di che si tratta e come combatterla
Da giovane si presenta come una larva da 1 cm fino a 3 cm e mezzo dotata di
numerosi peli irritanti per l’uomo che usa come tecnica di difesa.
I gruppi di larve di processionaria si spostano quasi sempre in fila indiana formando una
sorta di “processione” (da cui il nome) e si compattano quando raggiungono il loro nido
bianco di seta. Il nido viene usato per rideporre le uova o viene scartato e le nuove
larve saranno costrette a ricostruirlo.
Le cosiddette “farfalle triangolari” non sono altro che processionarie adulte e, sebbene
siano notturne, non entrano molto facilmente nelle case abitate.
Le dimensioni possono essere variabili, ma la misura
principale delle processionarie è di 3–4 cm e la
colorazione delle ali è variabile dal bianco sporco al
giallo avorio chiaro con delle striature quasi invisibili di
colore più scuro. L’apertura alare è di 5 cm circa. Come
molte falene alcune di esse possono emettere, se
minacciate, un liquido giallastro molto irritante per poi
volare via.
Biologia ecologia e sviluppo – La processionaria del
pino attacca tutte le specie del genere Pinus ma
mostra una certa preferenza per Pinus nigra e Pinus
sylvestris, inoltre si può trovare occasionalmente
anche sui cedri, su Picea abies e su Larix decidua.
L’insetto sverna allo stadio di larva di terza e quarta età all’interno dei caratteristici nidi
sericei che vengono intessuti sui rami dei pini. In primavera le larve riprendono
l’alimentazione cibandosi degli aghi di pino, ma nelle stazioni più calde, quando la
temperatura del nido supera i 9 °C le larve escono a cibarsi anche in inverno.
Di solito le larve sono attive solo la notte, mentre di giorno si trattengono al riparo nel
nido. In primavera le larve sono molto voraci e causano forti defogliazioni.
Giunte a maturità le larve abbandonano definitivamente il nido e si dirigono lungo il

Processionarie su tronco di pino – Marciano nelle
tipiche “processioni” fino a che non trovano un luogo
ideale dove interrarsi fino ad una profondità di 10–
15 cm. Le larve provenienti dallo stesso nido si
incrisalidano tutte insieme nel terreno in bozzoli singoli
fittamente accatastati l’uno accanto all’altro. Una parte
delle crisalidi può rimanere in diapausa anche fino a 7
anni. In luglio-agosto compaiono gli adulti, le femmine
ovidepongono sugli aghi dalle 100 alle 280 uova, in
un’unica ovatura a forma di manicotto. Le larvette
nascono a fine agosto-settembre e iniziano ad
alimentarsi subito sugli aghi, causando solo danni
modesti.
La processionaria del pino è un insetto termofilo e risulta assente nelle regioni in cui
l’ammontare cumulativo delle ore di luce è inferiore a 1800 ore. Queste particolari
esigenze climatiche spiegano una distribuzione piuttosto discontinua
dell’insetto. Thaumetopoea pityocampa attacca di preferenza pini di giovane e di media
età, specialmente quando vegetano su terreni poveri, asciutti ed esposti a sud o sud
ovest.
Distribuzione e habitat – È un insetto diffuso nelle regioni temperate del bacino del
Mediterraneo (Europa meridionale, Medio Oriente e Africa settentrionale),
particolarmente lungo le alberature stradali e sulle piante marginali delle formazioni
boscose. È considerato come uno dei principali fattori limitanti per lo sviluppo e la
sopravvivenza delle pinete del Mediterraneo.
Attacca prevalentemente piante delle specie Pinus nigra e Pinus sylvestris, ma talvolta
danneggia anche Pinus halepensis, Pinus pinea, Pinus mugo e Pinus pinaster; di rado
attacca Pinus strobus, ed in via del tutto eccezionale può attaccare larici e cedri.
I nidi di Thaumetopoea, dove svernano le larve, sono riconoscibili anche a distanza;
sono di forma piriforme e di colore bianco brillante, localizzati soprattutto sulle cime e
agli apici dei rami laterali. A partire dalla fine di autunno – inizio inverno, l’osservazione
dei nidi bianchi lascia pochi dubbi sulla presenza di questo lepidottero, che allo

Questo insetto è conosciuto anche perché nocivo per le specie a sangue caldo, uomo
compreso; i danni provocati dalla penetrazione dei peli nella cute umana, possono
essere modesti o assumere notevole gravità. Nella pelle, dove si infiggono le setole o i
loro frammenti, insorge un molestissimo eritema papuloso, fortemente pruriginoso, che
può scomparire dopo qualche giorno; mentre conseguenze più gravi, si hanno quando i
peli, o frammenti di essi, giungono a contatto con l’occhio, la mucosa nasale, la bocca o
peggio ancora, quando penetrano nelle vie respiratorie e digestive.
Come combatterla? Diversi metodi
In Italia dal 1998 la lotta a questo insetto è obbligatoria nelle aree ritenute a rischio
infestazione (cfr. Decreto Ministeriale 17.04.1998, poi abrogato e sostituito con D.M.
30.10.2007, pubbl. in G.U. 16 febbraio 2008, n. 40.).
Questo pericoloso lepidottero può essere combattuto utilizzando diversi metodi:
innanzi tutto con trattamenti insetticidi diretti sulle larve all’aperto: il nido, infatti,
neutralizza l’efficacia del trattamento. Per l’eliminazione delle larve morte, occorre
comunque utilizzare la massima cautela; anche se il metodo migliore consiste
certamente nel bruciarle, i residui carbonizzati risultano ugualmente urticanti, perciò è
da evitare il rimanere sottovento o nelle vicinanze del falò, soprattutto con parti del
corpo scoperte (compresi viso e occhi). Altri metodi di lotta si possono classificare
come segue:
Lotta meccanica – Quando si opera nelle vicinanze
delle larve, è necessario coprire ogni parte del corpo
(es. con guanti, maniche lunghe, occhiali, foulard sul
viso) al fine di evitare il contatto coi peli urticanti ed in
seguito lavare i vestiti utilizzati. I peli urticanti, infatti,
sono molto fini e quindi possono essere facilmente
trasportati dall’aria.
Una prima tecnica consiste nella distruzione delle larve,
tagliando le cime dei rami contenenti i nidi.
Un secondo metodo consiste nell’avvolgere il fusto con del film plastico (prima della
discesa delle larve, che avviene in genere dalla seconda quindicina di febbraio alla prima
quindicina di marzo), su cui distribuire uniformemente della colla entomologica; quando
è satura la trappola si sostituisce.
Un altro semplice metodo consiste nel bloccare la “processione” mediante l’apposizione
di una trappola a forma di imbuto sulla parte bassa del tronco. La base della trappola
deve essere molto aderente al tronco affinché non ci siano vie di discesa, mentre la
parte alta deve essere più larga del tronco al fine di permettere l’entrata delle larve.
Queste, trovando la via bloccata, si fermano per qualche tempo nella trappola e
possono così essere uccise con un utensile (es. una paletta di metallo) o ancor meglio,
al fine di mantenere le distanze il più possibile, spruzzando sulle larve uno specifico
insetticida da comprare in un negozio per l’agricoltura. Una volta uccise, le larve
possono essere seppellite al fine di evitare la diffusione dei peli urticanti.
Lotta guidata – Obbligatoria in Italia (D.M. 30/10/2007) e consiste nell’uso
di feromoni per catture massali.
Lotta biologica e biotecnologica – La prima tecnica prevede l’uso di prodotti a base
di Bacillus thuringiensis, ssp. kurstaki. Questa tecnica risulta difficile da attuare o molto
costosa quando gli esemplari infestati sono di grandi dimensioni. Inoltre, vista la
presenza di nidi sericei a protezione delle larve, non è detto che tutte vengano
raggiunte dal bacillo.
La seconda tecnica prevede, invece, l’uso di trappole sessuali (trappole a feromoni).
Queste trappole rappresentano il miglior metodo di contrasto al lepidottero parassita.
L’efficacia è dovuta sia alla cattura di molti maschi, che non riescono più ad uscire dalla
trappola, sia al disorientamento degli stessi ad opera degli ormoni sessuali femminili
della trappola. Le trappole si posizionano nei mesi di giugno e luglio, periodo di
sfarfallamento degli esemplari adulti, e ogni 3-4 settimane va cambiata la pastiglia del
principio attivo. Ogni 3-4 giorni va controllata la trappola per vuotare il contenitore dove
vengono intrappolati gli animali.
Interessante è l’impiego della Formica rufa, uno dei pochi nemici naturali di questo
lepidottero.
Interventi chimici – Uso di larvicidi, come il diflubenzuron.
Utilizzo delle armi da fuoco – È efficace, ma solo nel periodo da dicembre a gennaio,
quando le larve si riuniscono nei bozzoli per sopravvivere alle basse temperature grazie
all’effetto di gruppo. Non sono i pallini da caccia che le uccidono direttamente, ma
sparando il bozzolo si lacera, il freddo penetra e l’abbassamento della temperatura
uccide le larve nei mesi successivi.