700 anni di storia, l’8 ed il 9 aprile del corrente mese si sono riaperte le porte del Convento di clausura e la chiesa di Santa Caterina D’Alessandria, siti nel cuore di Palermo, simbolo di una città tutta da conoscere, documento vivente di una storia antica, che custodisce una memoria che non possiamo dimenticare.
La chiesa ristrutturata è un inno alla bellezza con il suo altare argenteo, i cherubini, le statue di eleganti sante domenicane in estatica contemplazione del divino. Dietro una porticina si entra nella fortezza del convento, luogo del silenzio e della contemplazione per eccellenza.
Lo spettatore resta sbigottito al varcare la soglia che apre la porta al convento, un trionfo di colore verde tenue alle pareti, con tetti decorati con immagini floreali, ed un profumo che sembra volerti ancora dire che anche se le monache sono andate vie, restano le loro preghiere, i loro segreti, i loro silenzi.
In questo convento, uno dei più ricchi di Palermo, le monache erano le figlie di famiglie blasonate, lì, trascorrevano la loro vita, dedicandola alla preghiera, lontano dai fasti delle loro famiglie d’origine, spesso erano le figlie più bruttine, ma non per questo le meno colte, anzi erano donne molto istruite e laboriose.
Il monastero fu fondato nel 1312, per volontà testamentaria di Benvenuta Mastrangelo, dama palermitana. Le suore che in essa dimorarono erano suore domenicane, la chiesa è ricca di intarsi, una chiesa delle donne, pensata per le donne, il rosa infatti è il colore dominante anche nel marmo presente.
La badessa sembra avesse un potere straordinario, li venivano a chiedere consiglio principi, conti, era un luogo in cui si confessavano segreti e dove si intrecciavano consigli, suggerimenti.Il convento fu un punto di snodo di rapporti complessi e di alleanze politiche e sociali.
Il convento ha ospitato tante suore la maggior parte, come già detto prima, provenivano da influenti famiglie nobiliari. Ma non tutte, ricorda la storica Patrizia Sardina, varcavano quelle grate per una libera scelta.
Poche per vocazione, altre per evitare un matrimonio sgradito, alcune per preservare l’eredità patrimoniale di fratelli con un destino già progettato nel segno della ricchezza e del potere.
Le monache erano rinomate perchè dalle loro “sante mani”venivano create le paste più buone della città, scucivano gli abiti che le nobil donne donavano loro per farne prestigiosi ornamenti.
Dietro a tutta questa meraviglia dell’occhio, c’è un progetto interessante che riguarda l’idea di realizzare un centro di teologia della bellezza, l’idea è quella di formare operatori pastorali che possano comunicare quali sono i significati teologici espressi nelle pietre e nelle opere d’arte delle chiese. Dietro la bellezza c’è una teologia che và comunicata perchè si capisca cosa l’artista racconta attraverso la teologia, un modo per avvicinarsi anche alle sacre scritture, in modo diverso.
Una storia da preservare e restituire alla città, a breve concerti ed altri eventi che vogliono ancora far conoscere questo gioiello che pulsa di storia e tradizione.

Sabrina Miriana