Nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1943, la Sicilia subì un’offensiva militare da parte degli eserciti anglo-americani. L’azione d’attacco, condotta con un’intensità non comune, vide l’impiego di soldati, truppe aviotrasportate, paracadutisti, mezzi da sbarco e sostenuta dalla flotta aeronavale per il fuoco di copertura. L’azione congiunta fu indubbiamente la più complessa e imponente dall’inizio del conflitto, circa 160.000 uomini, una manovra d’assalto, mai utilizzata fin d’allora nel settore del Mediterraneo. Tale attacco, chiamato in codice “Operazione Husky” dal Comando anglo-americano, coinvolse le coste dell’Isola fra Licata, Gela, Scoglitti, Pachino, Siracusa e le conseguenti località dell’entroterra.  Lo sbarco in Sicilia fu, dopo la presa delle isole di Pantelleria, Lampedusa,  Linosa e Lampione, compiuta dal giorno 11 al 14 giugno, dello stesso anno, la seconda invasione alleata sul suolo italico ed anche il preludio della campagna militare per la liberazione della penisola. A difesa delle coste per una possibile aggressione nemica, già il Comando militare dell’Asse in Sicilia, presieduto dal generale Alfredo Guzzoni, prevedendo i reali obiettivi dell’operazione militare angloamericana aveva ordinato lo stato di preallarme alle ore 22.00 del nove luglio. L’allerta era giunta soprattutto alle difese costiere: fortini, convogli ferroviari armati, postazioni di bunker e casematte a ridosso dalle coste, dei fiumi e nei vari punti strategici interni dell’Isola. Queste costruzioni con i rispettivi armamenti, sotto la direzione di soldati per la stragrande maggioranza militari riservisti, non ressero, sfaldandosi, all’erompente assalto delle forze armate Alleate scaricatesi sulle coste meridionali della Sicilia intorno alle ore 22.30 dello stesso giorno.

Tra il sei e il dieci giugno 1943, inizia con un violento bombardamento dell’aviazione anglo-americana sull’isola di Pantelleria, l’offensiva militare chiamata in codice “Operazione Corkscrew”.  Il raid aereo causò l’arresa dell’isola predetta il giorno successivo ed avrebbe portato alla capitolazione l’intero arcipelago delle Pelagie: Lampedusa, Linosa e Lampione, rispettivamente nei giorni dodici, tredici e quattordici dello stesso mese. La serie preliminare di queste operazioni belliche fu il preannuncio dell’invasione della Sicilia avvenuta qualche mese dopo, considerata il varco d’entrata in Italia. L’attacco militare di Pantelleria fu sostanzialmente la prima azione offensiva contro le forze dell’Asse nel Mediterraneo centrale. La scelta di questo piano d’azione fu decisa nella “Conferenza di Casablanca” chiamata in codice “Operazione Symbol” organizzata dal 14 al 24 gennaio del 1943, per stabilire una strategia d’attacco comune in Europa. I principali componenti  di questo incontro furono: il Primo Ministro del Regno Unito, Winston Churchill, il Presidente degli Stati Uniti d’America, Franklin Delano Roosevelt e i generali Charles de Gaulle ed Henri Honoré Giraud; nei colloqui, i partecipanti, decisero l’azione belligerante nei confronti della maggior Isola del Mediterraneo. La scelta di questo obiettivo non fu casuale, strategicamente era un facile bersaglio essendo nelle vicinanze della Tunisia, conquistata quest’ultima nel maggio 1943 dagli eserciti anglo-americani. Ad accelerare il progetto d’invasione furono anche gli esiti delle campagne di guerra che volgevano propizie agli eserciti Alleati: la sconfitta in Africa delle schiere dell’Asse e le condizioni negative sul fronte russo. L’intervento angloamericano in Sicilia, inoltre, avrebbe causato lo spostamento delle armate  germaniche da altri teatri di guerra, per farli confluire in Italia e di conseguenza avrebbe alleggerito la stretta delle truppe tedesche sul fronte russo. La possibilità di un’eventuale sbarco in Europa degli Alleati, era stata preconizzata dai Comandi italiani e tedeschi i quali informati i servizi segreti e le intelligence, analizzavano ogni indizio per carpire informazioni utili su quale territorio del Mediterraneo potesse avere luogo l’invasione dal mare. Per eludere lo spionaggio tedesco, i servizi segreti britannici nella primavera del 1943, architettarono un piano per far credere al loro Comando Supremo che lo sbarco sarebbe avvenuto in Grecia anziché in Sicilia. Il piano consisteva nel far ritrovare in prossimità delle coste spagnole, il corpo di un presunto annegato, un falso ufficiale inglese di nome William Martin, che in realtà era un giovane morto di polmonite, avente con sé un finto documento dei piani di sbarco. L’intento dei britannici era che il cadavere venisse recuperato e segnalato dalle forze preposte a quell’epoca sotto il regime di Francisco Franco, dittatore vicino alle potenze dell’Asse. Il piano riuscì,  il corpo venne ritrovato da alcuni pescatori sulla spiaggia della cittadina di Huelva e venne consegnato alla forze di sorveglianza costiera spagnole. La cronaca dell’avvenuto ritrovamento pervenne anche in Germania. A Berlino, la documentazione trovata addosso al cadavere fu riesaminata e dopo aver stabilito l’attendibilità del carteggio, il Comando tedesco decise di trasferire le proprie forze militari dalla Francia alla Grecia e indirizzandone nuove anche in Sardegna e Corsica, altri prevedibili luoghi d’attacco. I tedeschi però commisero un altro sbaglio fatale: il trasferimento di buona parte del loro stormo aereo dalla Sicilia in Sardegna, in questo modo le zone vitali siciliane inevitabilmente rimasero impoveriti dall’importante appoggio della forze aeronautiche. Lo stratagemma inglese chiamato in codice “Operazione Mincemeat” era giunto positivamente al suo epilogo, da rilevare che il generale tedesco Albert Kesserling, comandante dell’esercito tedesco in Italia e a capo delle Operazioni sul fronte del Mediterraneo, era convinto che un possibile sbarco da parte dell’esercito alleato avvenisse nei territori tra Trapani e Marsala, zone vicine alle basi aeree africane. Il generale Guzzoni, dal canto suo, invece, riteneva credibile uno sbarco proprio sul litorale meridionale della Sicilia: la costa sud-orientale tra Gela e Catania. L’Isola fu conquistata dagli Alleati in soli trentotto giorni, i soli energici contrasti che le forze Alleate dovettero subire si verificarono sul litorale di Gela e nei pressi di Catania al Ponte Primasole sul fiume Simeto, dove le difese costiere e le divisioni italo-tedesche  tentarono invano una controffensiva; anche gli altri capisaldi a difesa dall’assalto angloamericano vennero neutralizzati da un mirato bombardamento preparatorio, dando all’esercito alleato la libertà d’azione e di espansione nell’entroterra. Il quindici luglio il comando tedesco visti, gli sviluppi sfavorevoli dei combattimenti, inviò in Sicilia il generale Hans-Valentin Hube, a rimpiazzo dell’italiano Alfredo Guzzoni che aveva comandato la Sesta armata. L’alto ufficiale germanico ebbe la nuova direzione delle operazioni a contrasto delle truppe angloamericane. Con un’azione di contenimento, riuscì a rallentarne l’avanzata e permise alle restanti truppe dell’Asse, anche avvantaggiato dall’aiuto dei possenti baluardi di difesa terra-mare-aria, posti nel territorio: le batterie F.A.M. (Fronte a Mare), F.A.T. (Fronte a terra), postazioni scoperte a pozzo e Posti di Blocco Costiero (P.B.C), di attraversare rapidamente lo Stretto di Messina e sbarcare a Reggio di Calabria. L’Operazione Husky si era conclusa, un gran numero di soldati e mezzi tedeschi al seguito di truppe italiane erano riusciti ad evacuare le loro forze e saranno proprio queste unità che contrasteranno l’avanzata Alleata in Italia, come si sarebbe visto a Salerno, Cassino e Anzio: le truppe anglo-americane avevano commesso l’errore di non aver previsto uno sbarco in Calabria per bloccare gli eserciti dell’Asse in Sicilia. La battaglia per la conquista della maggiore Isola del Mediterraneo da parte degli eserciti alleati, comandati dal Maresciallo Montgomery per l’Ottava armata e del generale Patton per la Settima, fronteggiati dalla Sesta Armata del generale Guzzoni e dal quattordicesimo Panzer Korps del tenente generale Hube, ebbe una tragica conseguenza in perdite di vite umane. Il numero, delle persone decedute nell’Operazione, furono, secondo le cifre fornite dal generale George Marshall, di 167.000 uomini di cui 37.000 tedeschi per le forze dell’Asse, contro i 31.158 tra morti, feriti e dispersi dell’esercito Alleato. Le difese costiere furono il baluardo principale, l’ostacolo cui gli Alleati dovettero far fronte, impegnandosi seriamente per espugnare i principali punti chiave della Sicilia.  La difesa delle coste è una questione di primaria importanza per una Nazione. In Italia, già dal 1861 il giovane Regno ebbe in eredità dagli Stati sardi e dal Regno delle due Sicilie alcune opere di fortificazione poste a difesa degli scali portuali più importanti. Nel primo conflitto mondiale, le difese costiere, ebbero, oltre alle funzioni di contrasto al cannoneggiamento delle unità navali avversarie, allo sbarramento contro un’eventuale occupazione delle città portuali da parte del nemico, anche la repressione agli assalti dei sommergibili verso le imbarcazioni mercantili in rada e le strutture industriali in prossimità costiere.  A questo scopo, vennero concepiti i Punti Rifugio (P.R.)  una serie continua di postazioni di artiglieria per ostacolare le operazioni dei sottomarini; i Punti Rifugio rimasero in attività fino al termine della Grande guerra, per poi essere smobilitati. Rimasero in funzione, invece, le molteplici opere di difesa dotati di calibro minore a protezione di Centri fortificati e delle località meno importanti ed inoltre furono potenziati le batterie a vigilanza dei grandi centri. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale si procedette ad una risistemazione delle opere difensive, furono costruite lungo la costa, numerose opere di fortificazione e sul piano strategico, per far fronte ad un probabile sbarco in massa, ne furono incrementate delle altre lungo i tratti di costa aperte e pianeggiante. A protezione dalle incursioni dell’aviazione, inoltre, venne istituita la “Milizia artiglieria contraerea” (M.A.C.A.) e vennero predisposti a completamento delle difese a postazione fissa le “Batterie mobili su carri ferroviari”, mentre i Carabinieri e la Guardia di Finanza ebbero il compito di perlustrazione delle spiagge. Infine, nell’ottica di un minaccia d’attacco verso gli obiettivi più sensibili, ad opera dei reparti speciali nemici, furono creati nel territorio nazionale, particolari nuclei antiparacadutisti (N.A.P.) che diedero sostegno ad altri reparti per la difesa degli aeroporti contro operazioni di aviosbarco. Tali reparti furono utilizzati in particolar modo, in alcune località del meridione: Sicilia, Sardegna e Puglia. Le difese costiere siciliane furono le principali protagoniste dell’Operazione Husky, già da qualche tempo come si era detto in precedenza, l’esercito italiano aveva predisposto uno studio per il riordino delle opere di difesa costiera. Il progetto, in sequenza cronolgica, venne riveduto nel 1921 dallo Stato Maggiore dell’Esercito con la partecipazione della Regia Aeronautica e prevedeva il controllo e la difesa delle coste italiane. Il progetto di riordino, prevedeva l’aggiornamento delle opere di fortificazioni edificate durante la Prima Guerra Mondiale, ritenute ormai superate sia dal punto di vista strategico che per armamento. La nuova pianificazione determinò quindici zone demografiche e industriali da difendere, in Sicilia vennero individuate quali aree sensibili: Palermo, Siracusa ed Augusta. Nel 1924 la Commissione per la difesa del Tirreno con batterie costiere, compendiò in un documento i lavori compiuti descrivendo gli impianti di difesa prospicienti sul bacino Tirrenico. Le aree interessate alla fortificazione includevano diversi punti chiave; la Sicilia contava: Messina, Augusta, Trapani come importanti basi e punti d’appoggio navali nonchè Palermo come centro demografico, portuale e industriale molto rilevante. Le unità responsabili della difesa costiera vennero riorganizzati e i Reggimenti dell’Artiglieria da Costa, unità autonome istituiti nel 1888, vennero rimpiazzati dalla Milizia Costiera, creata nel 1935. Quest’ultima, insieme alla M.D.I.C.A.T. (Milizia Difesa Contraerea Territoriale) ebbero l’incarico della sicurezza e difesa del Paese dagli attacchi aereonavali nemici. Poco dopo, nel 1938, la Milizia Costiera assunse il nome di MIL.M.ART (Milizia Marittima Artiglieria) unità autonoma della M.V.S.N. (Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale) agente a livello nazionale. La MIL.M.ART, derivata dalla DI.C.A.T. (Difesa Contro Attacchi Aerei Territoriali) equivalente alla già citata M.A.C.A. era organizzata su dieci Legioni alle direttive dipendenze della Regia Marina e si occupava della difesa di postazioni fisse o baluardi adiacenti alle città portuali, curava la logistica e l’addestramento degli uomini. La Sicilia includeva le piazzeforti di Messina, Trapani, Augusta e Pantelleria e alla vigilia del conflitto possedeva rispettivamente sei, otto, sette e nove Legioni, oltre il Gruppo autonomo di Siracusa. Scopo della  MIL.M.ART era pertanto di organizzare ed addestrare le batterie a difesa dei punti costieri nazionali soggetti a possibili sbarchi. Dato l’elevato numero di luoghi da controllare le Legioni siciliane istituirono ventitrè Centurie speciali CC.NN. (Camicie Nere). La sola Centuria conteneva un Comando e due manipoli di mitraglieri su due squadre. Le ventitrè Centurie speciali furono inserite nelle Legioni: 166° Messina, 168° Ragusa, 170°Agrigento, 172° Enna, 173° Caltanissetta, 174° Trapani.

I compiti del Regio esercito nella difesa costiera

Le opere di fortificazione, edificate da specialisti, sia dei Battaglioni Genio Costruzioni e Fortificazioni detti anche Battaglioni Genio Fortificazioni Campali, o dalle Centurie Lavoratori, oppure dai Battaglioni del Genio Minatori, erano realizzate in calcestruzzo, si classificavano in postazioni monoarma (una postazione, un’arma) o pluriarma (una postazione, più armi), usualmente delle stesse dimensioni ed erano dislocate nel territorio singolarmente o in gruppo. Le postazioni circolari monoarma (P.C.M.), potevano ospitare da uno a tre soldati. L’ingresso assumeva differenti tipologie, in particolar modo le postazioni “a gruppo” avevano dei corridoi intercomunicanti sotterranei. Il vano interno, oltre ad assumere una forma circolare, poteva acquisire anche una conformazione poligonale e contenevano di rado altri piccoli ambienti per il deposito delle armi o per l’alloggiamento del milite, erano munite di feritoie multiple strombate e normalmente appartenevano alla categoria, strutture di tipo “leggero” cioè con un grado di protezione tale da sostenere solo un’intensità di fuoco di piccolo calibro. Il più delle volte, queste fortificazioni erano disposte a caposaldo per consentire una reciproca assistenza di fuoco ed anche per seguitare a proteggersi in caso che le difese fossero state neutralizzate e superate. A tale scopo nei combattimenti, erano sostenute da una serie di ostacoli: fili spinati, sbarramenti anticarro, campi minati e dall’aiuto di unità difensive complementari presenti nelle vicinanze, come  pezzi di artiglieria, trincee in cemento per fucilieri, posti di comando protetti e ricoveri. Le postazioni pluriarma, al contrario, avevano un maggior rinforzo protettivo per poter resistere ai colpi di piccolo e medio calibro. La loro costruzione era disposta su tre piani sovrapposti, comprendeva la parte ipogeica, la camera del secondo livello per la collocazione dell’artiglieria controcarro ed il terz’ultimo ambiente per la sistemazione delle armi leggere. La tipologia di queste costruzioni chiamate comunemente bunker, ovviamente variava, si uniformavano e si adattavano all’ambiente circostante e comunque disposte solitamente nei punti cruciali, a controllo del territorio. Troviamo ad esempio le casematte adiacenti al mare, in prossimità delle coste, a ridosso di strade, ai passaggi obbligati, presso gli attraversamenti di corsi d’acqua, scavate nella pietra calcarea, mimetizzati nell’entroterra, “in barbetta”, ossia a cielo aperto, o certe volte queste costruzioni erano ricavate sfruttando gli ingrottamenti naturali delle rocce lapidee. Le diverse tipologie di postazione come già accennato, si offrivano a diversi compiti: blocco costiero, posti di osservazione, nuclei fissi o mobili ed erano installate nei punti strategici, il più delle volte rialzate o abilmente camuffate nelle zone pianeggianti, per mezzo della folta vegetazione, da pietrisco, oppure da reti, pannelli o colorazioni mimetiche. Fin dall’inizio del 1942 gli esperti militari italiani erano portati a non ritenere più idonee le precedenti costruzioni di difesa, pertanto, si elaborarono nuovi sistemi protettivi. Le nuove misure adottate prevedevano, quindi, strutture di difesa più articolate, come i posti di sbarramento più arretrati, al fine di arrestare le possibili avanzate nemiche direttamente sulla battigia. L’urgenza di modificarne o costruirne di nuove, interessarono fondamentalmente la Sicilia, la Sardegna, l’Isola d’Elba e le Pelagie. A corredo di questo articolo abbiamo raccolto un apparato iconografico, con fotografie che mostrano le condizioni attuali di degrado in cui versano queste opere di difesa bellica. Come esempio, abbiamo scelto le casematte ricadenti nel territorio di Termini Imerese, cittadina sita ad una trentina di chilometri da Palermo, nella fascia costiera tirrenica. Una di queste casematte è sita negli immediati dintorni della cittadina, in località “Molinelli”, a valle del Cimitero Comunale, in un sito prospiciente sul tratto terminale del fiume San Leonardo. La posizione è  strategicamente importante per il controllo di una delle vie di accesso alla Città, nonché della relativa fascia costiera.  La struttura presenta un unico ambiente parzialmente ipogeo, munito di feritoie rettangolari dal lato prospiciente alle zone da controllare. L’opera come tante altre strutture similari, meriterebbe di essere tutelata e valorizzata opportunamente. Al fine di salvaguardarne l’integrità, lo scrivente, ha segnalato l’opera a varie Associazioni, Enti ed Autorità preposte alla tutela dei beni storici ed architettonici, tenendo conto che questi manufatti militari costituiscono opere sicuramente degne di particolari attenzioni per il loro intrinseco valore storico. Le casematte, visibili nelle foto, rappresentano i tipici modelli di fortificazione più diffusi nelle Isole, appartengono alle varietà di postazione monoarma, tipo Ispettorato Genio, adottata come standard per mitragliatrici e/o fucili mitragliatori dalla metà del 1942 in poi. Le costruzioni sono del tipo “leggero”, cioè con grado di protezione alle schegge di piccolo calibro. La camera di combattimento conteneva due militari serventi all’arma, più un terzo aiutante porta munizioni per il rifornimento al pezzo. La mitragliatrice era collocata su treppiede e a sua volta poggiata su un telaio in legno che permetteva di muovere rapidamente l’arma spostandola da una feritoia all’altra. A partire dalla prima metà degli anni Ottanta del secolo XX, tutte le postazioni difensive presenti nell’Isola furono bonificate dall’Impresa attualmente denominata Massarotti Cav. Giulio s.r.l. di Caltagirone su incarico dell’allora XI Direzione del Genio Militare Sezione B.C.M. (Bonifica Campi Minati). Ai nostri giorni, l’Operazione Husky, considerata il più grande evento militare anfibio in rapporto al numero di divisioni Alleate sbarcate entro il primo giorno, è ricordata dagli storici, dai veterani, dagli appassionati e dai militari in servizio attivo. Anche noi ci uniamo nel commemorare tutti i morti, i dispersi, i feriti degli ambedue eserciti e a quanti presero parte alla battaglia, in particolar modo la popolazione civile, i Carabinieri, la Guardia di Finanza, i Bersaglieri, le unità minori italiane e la divisione Livorno, quest’ultima che si distinse nel contrassalto sulle spiagge e nell’entroterra siciliano in quel lontano 10 luglio 1943.

Articolo pubblicato in origine, sabato 09 Luglio 2011

 Giuseppe Longo

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