I grandi colossi digitali si adeguino alle tassazioni Nazionali, si rispetti il principio di equità.
Nella prossima riunione informale del ECOFIN che si terrà come da programma il prossimo 15 e 16 settembre, una parte della sessione di lavoro sarà dedicata alla sfida della tassazione d’impresa nell’epoca dell’economia digitale.
Questa premessa si riferisce alla famosa vicenda della web economy, che tra i Ministri Europei ancora è un argomento cardine, che conserva la capacità di creare irritazioni tra quest’ultimi.
La web tax una riforma molto importante per l’Europa, la quale riuscirebbe a portare nelle casse Nazionali una somma non indifferente.
Questa iniziativa ha lo scopo di sottoporre a tassazione le grandi imprese digitali che svolgono attività economica in Europa, le quali oggi non corrispondono agli Stati di riferimento il livello di tassazione adatta. Attraverso la riforma si riuscirà a far rispettare il principio di equità fiscale, che oggi in qualche modo sembra leso.
I grandi gruppi hanno sino adesso utilizzato carenze legislative e raffinati metodi (trasferimento di utili da Paesi con aliquote più pesanti a legislazioni molto più compiacenti) per ridurre al minimo la propria imposizione fiscale.
A lanciare l’iniziativa è stato il Ministro delle Finanze Francese Bruno Le Maire, suggerendo una revisione delle tassazioni Nazionali, con un prelievo basato non più sull’utile bensì sul fatturato.
La tassazione sul fatturato anziché sull’utile prevede naturalmente una aliquota molto bassa, ma tale da aumentare le entrate per le casse pubbliche che passerebbero da zero (o quasi) a diversi miliardi di euro.
Ovvio che il processo vero la riforma fiscale crea dissenso tra i partner UE, fattore che influenza negativamente l’andamento della riforma perché come ben sappiamo serve un voto favorevole all’unanimità di tutti i Ministri Europei, affinchè la riforma possa essere messa in atto.
L’Italia ha giocato d’anticipo. Nel nostro Paese, con la legge di stabilità 2014, si era realizzato un primo tentativo di tassazione dei prodotti digitali. Una misura mai entrata in vigore, perché prima sospesa con un decreto e poi definitivamente abrogata dal governo Renzi (DL 16 del 6 marzo 2014), vietava a imprese e professionisti di acquistare servizi pubblicitari online da aziende che non fossero munite di partita Iva italiana. Con la manovrina entrata in vigore a giugno scorso, invece, è stata introdotta una norma ponte che prevede per i giganti del web – con oltre un miliardo di fatturato e un giro d’affari di almeno 50 milioni di euro – la possibilità di stringere accordi preventivi con l’Agenzia delle Entrate. Dunque non ci resta che aspettare!

Massimiliano Cipriano