“La passione secondo Matteo” è una straordinaria composizione di Bach, si potrebbe definire “oratorio”, eseguita la prima volta nel 1727. Come in tutte le sue composizioni, Bach riesce a dominare la materia musicale fino ad esplorarne tutte le infinite possibilità, fino a percorrere l’infinito spazio del silenzio amoroso di Dio, così come la risposta appassionata dell’umanità al richiamo divino attraverso il contrappunto e il controcanto. E i cori, imponenti, sembrano voler affermare la necessità di partecipazione che i fedeli invocano per potersi avvicinare a Dio, superando i limiti imposti dal mondo ecclesiastico (Bach era luterano).

C’è un Matteo, contemporaneo e tutto italiano, che ormai da mesi sta vivendo la sua “passione”, crocifisso dal suo stesso partito e sempre più icona di se stesso: povero cristo, quando nel 2014 aveva portato il PD in Italia al 40,8% (alle elezioni europee) non si aspettava certo che tanti suoi apostoli seguissero l’esempio di Giuda. E come nell’oratorio di Bach, il Matteo italiano di oggi si trova un “popolo di sinistra” che invoca la partecipazione alle scelte del partito, non certo per fedeltà al Segretario, quanto per necessità di senso, di passione, di appartenenza ad una “sinistra” che Matteo non sembra più incarnare.
La deriva personalistica e dirigistica ha origini lontane e bisogna dare atto ai tanti che da tempo hanno preso le distanze dall’apparato dirigenziale del Partito Democratico, pur mantenendo, ovviamente, le “ragioni e i sentimenti” di una propria storia e della propria appartenenza ad una tradizione di sinistra.
Così c’è chi ha creato un nuovo partito, garantendosi l’occupazione di ruoli di potere; c’è chi protesta, dissente, anche aspramente, all’interno del partito, garantendo buona salute al dibattito politico; c’è chi non vuole, e non ha, una tessera di partito per portare avanti progetti politici che vogliono provare a riscrivere le regole e gli obiettivi.
E se durante i primi giorni di campagna elettorale in molti dichiaravano di rinunciare al voto per “motivi di salute” (dichiaravano frequenti conati di vomito e una nausea persistente), forse l’esempio dei “Partigiani del PD”, dichiaratamente contro la dirigenza del PD ma decisi comunque a votare per il proprio partito, può farci riflettere sulla scelta di alcuni che proprio dalle fila della coalizione di centro sinistra, quindi con il PD, pensano di impegnarsi per un cambiamento, per una “rivoluzione” del punto di vista, non più concentrato sul pensiero unico ma capace di includere orizzonti: e per fare cambiamenti bisogna essere al governo, non basta testimoniare una volontà. Qualcuno potrà pensare che essere candidati per il PD implica necessariamente obbedienza, compromesso, ma è possibile pensare, invece, che scegliendo con attenzione i candidati da votare si può ripartire daccapo, mediare tra ciò che un partito è stato e ciò che vuole diventare.

Per meglio comprendere la differenza tra compromesso e mediazione ci viene sempre in aiuto “Il Vangelo secondo Matteo”, questa volta il film realizzato da Pierpaolo Pasolini, commentato da Paolo Vittorelli (dottorando presso l’Università di Pavia-Cremona): “Il senso del sacro, che in Italia si esprime da due millenni nel cattolicesimo, era da lui [Pasolini] fortemente sentito perché era il modo stesso di organizzare la vita di quel mondo immutabile, naturale, contadino, dialettale ed umanistico che scoprì in Friuli durante la Resistenza ed amò sempre visceralmente, ma che ora vedeva prossimo all’estinzione a causa dell’avanzare dell’industrializzazione. […] Di fronte a questa incombente fine del suo mondo, ecco dunque la necessità, quasi il dovere, di realizzare un film su di una storia antica, epica, inaccettabile dal freddo razionalismo tecnicistico del nuovissimo mondo unidimensionale del ‘produrre-consumare-inquinare-produrre’. Ecco pertanto l’invito ai suoi connazionali a conoscere direttamente il Vangelo, «testo che in Italia non legge nessuno», anche tra gli intellettuali, sottraendolo alla esclusiva proprietà ecclesiastica. Pasolini desiderò provocare il dialogo tra comunisti (che avrebbero dovuto abbandonare le loro riserve per tutto ciò che è irrazionale e religioso) e cattolici (che avrebbero dovuto abbandonare le riserve per la filosofia di Marx e la psicologia di Freud). […] Perché mai dovrebbe importare in cosa abbia creduto Pasolini? Il suo è un prodotto che ha lo stesso spirito dei tragediografi classici. Perché anch’egli presenta la storia sacra come fosse mythos: quello formatosi nel tempo che separa il Gesù storico dal suo film.”

Perché Pasolini poteva immaginare un dialogo tra comunisti e cattolici e noi non riusciamo a credere nella forza del dialogo? Avanti, popolo…

silvia scerrino