Avete letto bene, è la pinsa e non la pizza il tema di questo articolo.

Anche se non è così famosa come la sua cugina napoletana, la pinsa è una ricetta della tradizione del Lazio che sta diventando sempre più popolare non solo nel nostro paese, ma anche all’estero.

Per i profani, si tratta di un incrocio fra la pizza e la focaccia e il suo nome deriva dal latino “pinsare”, che significa tirare o dare una forma allungata. Infatti, la sua pasta non supera i due o tre centimetri massimi in altezza, e la forma è allungata, ovale. 

Viene fatta lievitare molto, da un minimo di 24 ore ad un massimo di 150, in modo da risultare molto digeribile e leggera.

La sua superficie viene lavorata in modo non uniforme, così da creare degli avvallamenti, che permettono al condimento di raccogliersi e di mantenere la parte centrale molto morbida, quasi bagnata, in contrasto con la crosta esterna, croccante e secca.

 

Questo piatto è adatto ad essere condito in molti modi differenti, non solo con i più tradizionali condimenti, come mozzarella e prosciutto, ma anche con alimenti dolci, come crema di cioccolato, marmellata artigianale o frutta.

Inoltre, ben si presta ad essere condito con alimenti adatti a vegani e vegetariani, in modo da poter soddisfare il palato e l’animo di (quasi) tutti.

Non si tratta di un piatto recente, ma di un alimento che già viene citato nella Eneide di Virgilio nel primo secolo a.C., nella descrizione di un banchetto in onore di Enea e dei suoi militari, offerto dal re Latino e da sua figlia Lavinia.

Questo racconto conferma perciò la teoria che la pinsa fosse un alimento tipico laziale già in tempi antichi.

Infatti, sembra che questo fosse l’alimento alla base della dieta di coloro che lavoravano i campi e macinavano le farine fuori dalle mura di Roma nell’antichità.

Questo perché la pinsa è facile da realizzare e da digerire, cosa che permette di tornare a lavorare in tempi brevi senza sentirsi affaticati dal cibo, ma comunque ricchi di energie.

 

 

La sua tipica leggerezza non è data solo dalla lunga lievitazione, che avviene a freddo (in passato si usavano delle ghiacciaie, oggi i frigoriferi) e usando pasta madre essiccata, ma anche dal mix di farine usate, che comprende il frumento, la soia e il riso. 

La soia permette di garantire la friabilità della pinsa, mentre il riso conferisce umidità all’impasto, grazie alla sua capacità di trattenere i liquidi.

L’acqua nell’impasto deve infatti non evaporare troppo, a differenza di ciò che succede nella pizza. In questa specialità laziale, i liquidi devono rappresentare un buon 80% del totale del peso e devono essere uniti all’impasto a freddo, mentre nella classica pizza gli ingredienti liquidi non superano mai circa il 55% dell’impasto.

Oggi, non solo è possibile trovare la pinsa in molte città italiane, ma sono anche sorte associazioni dedicate alla Pinsa che hanno come obiettivo quello di preservare questa antica tradizione, e di tramandarla alle nuove generazioni.