In riferimento ai giudizi su Dante Alighieri di Eliot (1907-1977) in ordine alle “Radici culturali e spirituali dell’Europa”, che è il titolo del volume proprio su questo tema del filosofo Giovanni Reale (1931-2014), questi amaramente conclude:«sono affermazioni che fanno molto pensare, soprattutto in un momento in cui in non poche scuole (licei classici compresi) Dante viene in larga misura trascurato, nella convinzione che non parli più ai giovani di oggi».
«Dante – dice Eliot – è il poeta più universale che abbia scritto in una lingua moderna … Egli pur essendo italiano e un uomo di parte, è prima di tutto un europeo», come spiega il dato di fatto che «pensava allo stesso modo di chiunque altro della sua stessa cultura in Europa … . La cultura di Dante non era quella di un paese europeo, ma quella dell’Europa». E ancora: «La Divina Commedia esprime nell’ambito dell’emozione tutto ciò che, compreso tra la disperazione della depravazione e la visione della beatitudine, l’uomo è capace di sperimentare».
L’amara conclusione di G. Reale ci trova concordi, non solo perché apparteniamo a una generazione che in Dante vedeva il massimo poeta italiano e tra i maggiori al mondo in assoluto;tanto che ci sembrava un po’ indietro rispetto al suo merito il posto di “sesto tra cotanto senno” che egli stesso si attribuiva dopo Omero, Virgilio, Orazio, Ovidio e Lucano. Ma anche e soprattutto perché proveniamo da una scuola che al suo interno formava giovani dello spessore culturale di quello Steno Vazzana, prima studente e poi docente della stessa, al quale ricorre la nostra mente quando sentiamo frasi come quella riportata all’inizio della presente nota.
Ci sovviene, infatti, che oltre mezzo secolo fa, al tempo della contestazione studentesca, quando si andava allargando la forbice tra le due culture tradizionalmente intese come umanistica e scientifica, proprio a cura di un liceo classico (il Mamiani di Roma) usciva un saggio, “Dante nei licei”, nel quale l’autore, Steno Vazzana per l’appunto, docente dello stesso istituto dopo il trasferimento dal Mandralisca, sosteneva la necessità di superare questa innaturale dicotomia in nome e a vantaggio dell’unità della cultura a prescindere dall’indirizzo di studi prescelto. Di quell’unità che egli coglieva nell’opera di Dante, della quale ricorreva pertanto l’urgenza di non trascurare lo studio nei licei, al fine di arrestare la dicotomia culturale di cui si è detto e soprattutto perché fosse evitata quella incomunicabilità tra le due espressioni culturali che, col senno di poi, abbiamo visto accentuarsi. E questo a scapito, da un lato, dell’Umanesimo, soprattutto nella accezione di “integrale”, e dall’altro, anche a causa dell’avanzamento produttivo della tecnologia nella vita pratica, a vantaggio di quello scientismo e collaterale tecnicismo che, negando valore conoscitivo all’attività intellettuale oltre l’ambito del quantificabile, ambito proprio della razionalità scientifica, tendono a ridurre la capacità intellettuale dell’uomo a questa unica dimensione, negando altresì dignità gnoseologica al pur vasto ambito della spiritualità umana.
Il prof. Vazzana ne era consapevole e stigmatizzava come anacronistico e nefasto lo stato di cose che si andava delineando, opponendo ad esso l’ «esigenza unitaria della cultura moderna, così preoccupata non solo nei letterati, ma anche negli scienziati, di non lasciare scavalcare l’humanitas da una mostruosa avanzata della tecnica». Esigenza che rendeva – a suo dire – quanto mai attuale lo studio approfondito della Divina Commedia, dato che «questa unità (sono parole sue) sentì e seppe risolvere in sé Dante, il quale possedette certamente tutta la cultura del Medioevo sia letteraria che scientifica, sulla quale anzi poté formarsi l’intera struttura della Divina Commedia, che è innanzi tutto ascesa alla verità unica dell’universo, fisica e metafisica, morale e teologica insieme»
“Leggere e capire veramente Dante (… ) – puntualizzava ancora – significa superare in noi l’antinomia, ( … ), di umanesimo letterario e umanesimo scientifico in un umanesimo vero, che è dominio dell’uomo sulla natura, o meglio sulla tecnica, che al momento sembra trascinarci.”
A metà degli anni sessanta del secolo scorso l’unione dell’Europa non costituiva in sé un problema. Era considerata, invece, una opportunità in pratica stante la concorde opinione di un substrato spirituale comune alle popolazioni europee, che ne sanciva l’identità riguardo al senso della vita e ai valori morali che danno senso al vivere comunitario con finalità compatibili e convergenti. Quell’anima dell’uomo europeo che secondo il Reale deve essere riscoperta e adeguatamente formata perché l’Europa non sia, per chi ci vive, soltanto una espressione geografica, dove collocare l’evento della propria nascita fisica, né una entità costruita su trattati di per sé caduchi, perché garanti di interessi storicamente contingenti; ma la Patria, intesa come contesto spirituale in cui trova riscontro e piena realizzazione la propria identità personale.
Questo andrebbe fatto nel quadro di quella sintesi della cultura greco giudaica compiuta dal cristianesimo e di cui la Divina commedia e l’opera di Dante in generale sono l’espressione più significativa. Visivamente rappresentata nel IV canto dell’Inferno, dove, malgrado lo status non felice della posizione, non sfugge la riverenza di Dante per quegli spiriti tra i quali egli anela di essere annoverato. «Un momento così affettuoso, di così intima e composta gioia interiore, di spirituale pienezza, di matura consapevolezza ha riscontro solo in certi momenti dell’avventura paradisiaca».
Così Steno Vazzana nell’Introduzione all’opera postuma Dante e la «bella scola», dove si mette in evidenza come l’episodio dell’incontro con “la bella scola”, «mentre suona come un inno alla grandezza degli antichi poeti, cui fa da cornice quella dei dotti e degli eroi, ha tutta l’aria di funzionare come una dichiarazione di poetica, nella quale Dante ha voluto indicare le fonti della sua ispirazione, o meglio preparazione».Come dire che il Poeta lungi dal rinnegare la cultura classica, la assume quale patrimonio personale per quella idea di poesia intesa come “architettura, storia geografia, scienza, psicologia, tutto”. Che è poi la condizione che fa di Dante un punto di riferimento imprescindibile per la formazione dell’anima dell’uomo europeo prima che della unione politica o meramente economica. Che sono inevitabilmente precarie e caduche, perché legate alle contingenze della storia.
Il fatto che la Divina Commedia sia un poema religioso, ciò non ne ridimensiona il carattere formativo nella direzione sopra indicata, sia perché – come afferma il Reale – «il messaggio cristiano è quello su cui l’Europa si è spiritualmente costituita e sviluppata», sia perché il lato teologico del poema non entra in conflitto con la razionalità umana, ma si concilia attraverso «le vie seguite dalla fantasia di Dante nel trasferire i concetti dell’etica aristotelica e/o dell’astronomia di Tolomeo nelle situazioni narrative del poema».
Del che fa memoria proprio Steno Vazzana nell’articolo Il ‘Mandralisca’ nella mia vita, inserito in L’eredità del Mandralisca, pubblicato nel centenario (1991) della fondazione del Liceo. Di quel liceo di cui egli fu prima alunno e quindi docente fino al 1959. In una linea ininterrotta di esperienze formative tutte vissute alla luce di quella “lampada del sapere, che una volta accesa non può spegnersi più e dà a chi la nutre la percezione della ricchezza della vita e la felicità di impossessarsene”. Come quelle vissute da studente per la fortuna di avere incontrato, tra gli altri pure bravi, un professore di greco e latino dal quale dice di avere ricavato “l’amore per la scuola e per la poesia”. E da giovane docente, quelle vissute in un rapporto eccezionalmente simbiotico sotto il profilo culturale con i discenti, i quali stimolavano, con le loro intelligenti domande, quella meditazione “dalla quale sono usciti i miei studi sul contrappasso, sulle similitudini della Divina Commedia, sul Pascoli”.
«Il Mandralisca – egli conclude nel citato articolo su L’eredità del Mandralisca – per me non è stato quindi una tappa della mia vita o della mia carriera, ma un principio. E ai principi si resta legati per sempre, come al primo amore, perché i principi restano operanti sempre» . Sicché la produzione successiva del prof. Vazzana può essere ricondotta a tale principio. Compreso tutto quello – che è immenso – che scriverà su Dante e la sua opera. Ragione per cui possiamo ben dire che la visione di un’Europa unita sul piano culturale prima che politico ed economico,quale la vede Eliot quando dice che“la cultura di Dante non era quella di un paese europeo, ma quella dell’Europa”, ha un’ascendenza dalle parti del Mandralisca di Steno Vazzana.
GIUSEPPE TERREGINO