Tanti click di vita, di storia, di sentimenti e sensazioni, di luoghi ritrovati nei meandri del pensiero.
Tanti ciak.
Scansioni metriche e di linguaggio.
Ombre che si allungano, s’illanguidiscono, si inseguono e susseguono, si fondono e si confondono, si confortano.
Angoli di storia, il nostro entroterra dimenticato con i suoi portali quattrocenteschi, gli acciottolati, le fontanelle… 
Tutta una veicolazione di linguaggi: cinematografici, scenici, pittorici, letterari, ambientali.
Fotogrammi e scorci di vita, sfondi dell´animo, giornali sgualciti e consolle di vecchie case.
Biciclette di cui si vede solo la scia di un´ombra che, anch´essa, se ne va; bambini soli, sguardi sbalorditi; baveri di suore di cui si intravede solo un intrecciarsi e un sovrapporsi di sfumati bianchi, quasi un fiore che si sta lentamente scomponendo (o ricomponendo). Tutto un biancore.
Piazze vuote alla De Chirico; bianchi gessosi alla Morandi e alla Cézanne; tutto un “Blow-up” alla Antonioni e, celato qua e là, soffuso e diffuso, un serpeggiante richiamo al Futurismo di un Balla di “Mercurio che passa davanti al sole” e, più ancora, del seguente, poeticissimo, Secondo Futurismo, quello di Gerardo Dottori in particolare.
Quale sia il rapporto tra macchina fotografica e scrittura è presto detto.
Ce lo ha raccontato Fellini ne “Il libro dei sogni”.
L´arte è prima di tutto poesia e Michele Di Donato ce lo ha mostrato e dimostrato.
Se le foto fossero state accompagnate da poesie, magari di sua creazione; o da citazioni poetiche, magari di Cardarelli e di Neruda; se le opere fossero state legate e collegate da una filigrana di annotazioni che corressero e rincorressero ora le biciclette, ora i luoghi dimenticati; se tra uno scatto e l´altro si fosse dipanata una narrazione di momenti epici del nostro entroterra come l´emigrazione o la guerra, quel libro, “Fautographie”, l´avremmo forse intitolato “Scritture di luce”.
Una sinestesia di linguaggi, una veicolazione dell´animo dove la poesia si coniuga a fotogrammi di film come quelli che scorrono in “Una giornata particolare” di Ettore Scola (il viso della bambina che appare tra le lenzuola stese); o come “Il Monello” di Charlie Chaplin (Il bambino con quella mano sulla testa); o a ricordi mitici come la Sirenetta di Andersen in chiave nostrana (la ragazza che si sciacqua i piedi sotto la fontanella).
Tutto un intersecarsi di linguaggi, di assonanze e consonanze, dove forma e fantasia, sogno e realtà, Surrealismo e mondo tangibile, si sovrappongono in un continuum di giochi e rimandi, di quinte e fondali, di abilità di immaginazione e di tecniche sottili e raffinate che ci riconducono a un Pedro Calderon del la Barca
“Tutta la vita è sogno
E i sogni, sogni sono.”
Ma, al di sopra di tutto, c´è rigore scenico, compostezza e compiutezza di una cifra linguistica attenta e, di certo, non mai casuale. 
Grazie a Fabiola Di Maggio per aver dato compostezza alle opere e per averne saputo presentare le varie chiavi di lettura e gli sfumati in un libro che rimane un documento.
Grazie a Tiziana Barone per aver saputo impostare la giusta linea di incontro con l´Autore.
Grazie a Giuseppe Provenza per aver offerto una manifestazione carica di significati e significanti, in linea con il grande decoro che l´ ambiente richiede.
Ma, soprattutto, grazie a Di Donato per averci donato (non è un gioco di parole … sono “parolibere”) opere che ci hanno fatto pensare e, soprattutto, sognare in un tempo in cui i “Libri dei sogni” sono soltanto un vago ricordo…
Forse!
Teresa Triscari