La odierna protesta studentesca contro la prevedibile catastrofe ecologia, dovuta a un uso sconsiderato delle risorse utili alla vita sul nostro pianeta, riporta alla memoria l’eco di un monito elevato dal Liceo Mandralisca in un momento, ormai lontano, in cui il problema posto sul tappeto dai giovani oggi era già attuale e drammatico. Anche perché si trattava del momento in cui il recente disastro nucleare di Cernobyl poneva in termini perentori, anche con riferimento alle mutazioni climatiche, il problema dell’uso delle risorse energetiche. Un allarme che imponeva all’insegnante di fisica di darne delucidazioni in sede di una assemblea studentesca destinata per l’appunto alla trattazione del problema energetico. Della quale trattazione ci sembra utile riportare di seguito alcuni stralci, anche per mettere in evidenza come la politica mondiale abbia avuto un corso non abbastanza consonante alle domande dei giovani di allora, che erano in gran parte le stesse di quelle di adesso.

«Trattando del problema energetico – esordiva l’oratore -, benché l’ambito nazionale abbia indubbiamente la sua importanza, risulterebbe tuttavia riduttivo limitare ad esso un problema la cui dimensione planetaria non sfugge a nessuno.  Soprattutto un paese come l’Italia, che per l’approvvigio­namento energetico dipende dall’estero in larghissima percentuale, non può commisurare le sue scelte in materia agli interessi elettora­listici interni senza cadere in una forma di nazionalismo autarchico nocivo sotto il profilo economico e inefficace sul piano operativo ri­guardo alle future scelte mondiali.  Di ciò si è resa interprete proprio la Società Italiana di Fisica affermando, in un documento approvato nel gennaio del 1987, che “il nostro paese è un sistema aperto e fa parte di una comunità culturale, prima ancora che economica, a livel­lo europeo, la quale può avere un ruolo essenziale e originale nel pro­muovere e favorire le soluzioni più efficaci e pacifiche a questa grande sfida dell’era contemporanea.  Non è quindi pensabile che esso possa affrontare questo compito in modo separato e contrario alle linee evo­lutive fondamentali del mondo moderno “.

Con ciò non si vuole dire che l’Italia debba rinunciarealla sua le­gittima autonomia di scelte in ordine al problema energetico; ma che essa non deve perdere di vista la dimensione planetaria del problema e deve cercare di operare nell’ambito di una comunità, come quella europea, il cui peso, per forza economica ed efficienza produttiva, nonché per prestigio culturale, può risultare determinante nella definizione delle linee evolutive della economia e della cultura mondiali.

Infatti il problema energico è problema mondiale.  Ed è destinato a restare insolubile (con grave dan­no ovviamente per l’umanità intera) se non si determinerà, su scala planetaria, un radicale mutamento dello sviluppo economico a favore dei paesi sottosviluppati, ossia verso quella maggioranza del 75% di esseri umani a cui l’attuale assetto produttivo consente di fruire solo di un modesto 20% delle risorse energetiche del pianeta. Va dunque considerata ineludibile la necessità di eli­minare lo squilibrio sopra denunciato.  Risulta tuttavia impensabile, e sarebbe esiziale, accrescere il consumo di energia tanto da equiparare quello dei paesi sottosviluppati a quello dei paesi più evoluti; ragione per cui la questione energetica va vista sempre globalmente e proiettata nella prospettiva storica della civiltà umana.

Perché ciò avvenga è necessario che mutino i criteri di conduzione della politica degli e tra gli stati: non più il perseguimento dell’interesse nazionale come fatto unico ed assoluto, ma questo subordinata­mente alla salvaguardia del comune patrimonio di beni atti a garantire la sopravvivenza della specie umana e il cammino della civiltà.  Assecondare l’egoismo, usando la tradizionale logica del profitto legata a una politica di potenza, sarebbe, nel contesto in cui ci apprestiamo a vivere, un grave errore.  Non solo il comune senso della giustizia impone di riequilibrare una situazione come quella denunciata dal dato sulla fruizione energetica, ma l’interesse di tutti e di ciascuno. I paesi ricchi faranno certamente anche il loro interesse se useranno la saggezza di  commisurare le  loro  pretese espansionistiche alle stringenti necessità vitali dei popoli sottosviluppati.  A costoro vanno dati mezzi e tecnologie idonei a garantire lo sviluppo del loro apparato produt­tivo, mentre va frenata la tendenza allo spreco delle società opulente.

In ordine all’approvigionamento energetico, giova considerare la raccomandazione della S.I.F. di “ristrutturare la domanda di energia,  in particolare con il risparmio energetico nei paesi sviluppati, e diffe­renziare le fonti, riservando quelle ad alto contenuto tecnologico per il nostro mondo avanzato”, con l’ammonimento a “non trascurare gli effetti a livello planetario della combustione, non demonizzare soltan­to il nucleare”.

Degno di nota ci sembra l’invito al risparmio rivolto ai paesi sviluppati.  Il risparmio, infatti, è la fonte di energia più sicura e più  pulita (se non è l’unica con tali caratteristiche), oltre che quantitati­vamente non insignificante e sempre suscettibile di accrescimento.  Operare   in direzione del risparmio non vuol dire soltanto fare affidamento sulla continenza e sulla parsimonia personali, che pure hanno la loro importanza per gli effetti pratici non trascurabili e sul piano morale, bensì ingegnarsi per migliorare il rendimento delle strutture produttive, privilegiare nell’edilizia materiali atti a ridurre il consumo di energia per riscaldamento domestico, scegliendo altresì siti favorevoli per la ubicazione degli edifici, evitare gli sperperi negli apparati e nei servizi pubblici.

Sulla via del risparmio si può arrivare a un consistente ricupero energetico anche subito e al di fuori di ogni ipotesi avveniristica.  Perché grande è lo spreco dovuto a sistemi economici improduttivi o le­gati alla logica capitalistica del profitto fine a se stesso.  Spreco nell’impiego di enormi quantità di energia nell’industria del futile e del superfluo.  Spreco nell’uso dell’energia in impianti poco redditizi sotto il profilo della trasformazione del calore in altre forme energetiche.  Spreco finanche nello sfruttamento delle fonti, che vengono utilizzate col criterio del massimo profitto associato al minimo costo; il quale può essere comprensibile in una dinamica produttiva legata alla con­correnza di mercato, ma diventa ingiusto quando, per mantenere la competitività delle industrie, si sacrificano risorse che potrebbero contribuire in maniera consistente ad eliminare dal mondo la fame e il sottosviluppo.

All’urgente domanda di energia del Terzo Mondo non si può ri­spondere con lo spreco.  Soprattutto se si tiene presente che non esi­stono, tra quelle in atto massicciamente sfruttate, energie assolutamente pulite.  La qual cosa significa che lo spreco serve solo ad accre­scere gli inquinamenti, di cui però i popoli sottosviluppati sono anche e in larghissima misura destinatari.

Ecco dunque come il problema energetico assume connotati cul­turali e morali.  E la politica del risparmio, oltre ai benefici effetti pratici, certamente concorre alla necessaria presa di coscienza dei valori naturali e umani della cui salvaguardia ogni uomo, come ogni stato o comunità sovrannazionale, è tenuto a farsi carico.

Non si può riportare qui per intero la trattazione del problema fatta in quella assemblea voluta dai giovani. Basta dare uno sguardo alla figura che illustra le risposte da loro date nel questionario proposto da Legambiente per avere l’idea di come essi si fossero dimostrati attenti e sensibili ai diversi aspetti del problema con particolare riferimento al peggiore dei danni collaterali a un uso sconsiderato dell’energia (di ogni forma) nell’apparato produttivo e in quello dei servizi.

                        GIUSEPPE TERREGINO