Quarant’anni dopo, il disco in vinile si sta prendendo una sonora rivincita. Mentre le fabbriche faticano a star dietro alle richieste, una nuova generazione di ascoltatori scopre il rituale che dà accesso a un mondo magico, innocente e perduto

Quarant’anni dopo, il vinile si sta prendendo una rivincita. Mentre macchinari d’epoca tornano di moda e le fabbriche che stampano 33 giri faticano a star dietro alle richieste, una nuova generazione di ascoltatori scopre il rituale che i Pearl Jam descrivevano in “Spin the black circle”: il disco che gira, il braccio che cala, la puntina che trova i solchi. Una droga.

Nonostante le dispute tra audiofili, il revival del vinile ha qualcosa di romantico e irrazionale. Dischi grandi come piatti di portata, puntine, copertine con grafiche piene di particolari, crediti dettagliati e, perché no, piccoli fruscii sono la porta d’accesso a un mondo magico, innocente e perduto, a un’epoca di grandi album come “What’s going on” di Marvin Gaye o “Who’s next” degli Who.

In questo speciale vi raccontiamo i dati dell’industria, il nuovo pubblico del vinile, il formato 180 grammi, la stampa dei 33 giri che abbiamo rimparato ad amare.

Nel 2006, furono prodotti 5 milioni di vinili nel mondo, un mercato che valeva meno di 50 milioni di dollari. Dodici anni dopo, gli LP venduti nel mondo sono 45 milioni. Negli Stati Uniti, nel 2018 il mercato del vinile si è espanso per il tredicesimo anno consecutivo, facendo registrare un +15% e guidando la riscossa dei supporti fisici sul download.

In Italia, i dischi in vinile valgono circa l’8% del mercato. Per il solo Record Store Day che si è tenuto lo scorso 13 aprile 2019 sono state programmate oltre 300 uscite in vinile. Il supporto che tutti davano per morto sta vivendo una seconda giovinezza in un mercato ampiamente dominato dallo streaming. Tant’è che già dal gennaio 2016 la FIMI, Federazione Industria Musicale Italiana, ha creato una classifica dedicata ai dischi in vinile dove convivono nuove uscite e classici come “Back to black” di Amy Winehouse.

Da alcuni anni, una scritta accompagna le ristampe in vinile dei vecchi album e alcune nuove pubblicazioni: 180g, il peso del disco. Quando i 33 giri erano il principale supporto per ascoltare musica non c’era alcuna indicazione relativa alla grammatura. La scritta 180g è stata in principio usata da etichette attente alle esigenze degli audiofili ed è perciò diventata sinonimo di qualità grazie a questa associazione.

Il disco 180g ha un aspetto più solido ed è meno flessibile, ma suona anche meglio? La risposta è negativa. La qualità sonora dipende dai solchi, dalla fonte, dal processo di masterizzazione – ecco perché album come “Zooropa” degli U2 sono stati rimasterizzati appositamente per le ristampe più recenti.

Perché allora i 180g? La grammatura importante permette al vinile di aderire meglio al piatto assicurando una riproduzione più fluida e con meno scossoni. Non solo. Uno dei punti deboli del vinile, e uno dei motivi per cui fu soppiantato dal compact disc, è la deperibilità. Un disco più pesante è anche più robusto e quindi più durevole.

Fonte:Rockol