Carissimi,

oggi dopo nove anni si conclude il mio mandato di Parroco di Isnello, iniziato il 6 settembre del 2010.

In questi giorni ho ricevuto tantissime manifestazioni di affetto e di tenerezza dai più piccoli ai più grandi, ho sentito la vostra gratitudine per gli anni trascorsi insieme, ho provato come voi la profonda commozione per l’idea del distacco. Tutto questo mi ha consolato. Abbiamo tutti bisogno di essere voluti veramente bene!

Ho ripensato a questi anni di servizio nella Comunità di Isnello, che per me ha rappresentato la vigna del Signore. Sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, ricorre spesso la figura del vignaiolo che lavora per la sua vigna.

Voglio che la mia riflessione sia guidata da due passi della Scrittura: il libro del Profeta Isaia (Is. 5,1-7) e il Vangelo di Matteo (Mt. 21,33-43). Entrambe descrivono la vigna come campo di azione, luogo che diventa oggetto di cura e di amore e, al tempo stesso, di violenza; luogo a cui si è dato tutto e da cui si è ricevuto poco o nulla.

Isaia ci propone il canto di amore del vignaiolo per la sua vigna: “Voglio cantare per il mio diletto il mio cantico d’amore per la sua vigna”. Noi siamo la vigna del Signore. Voi, per me, siete stati la vigna del Signore. Isaia prosegue: “Il mio diletto aveva piantato viti pregiate nella sua vigna; in mezzo vi aveva costruito una torre e scavato anche un tino. Egli aspettò che producesse uva, essa produsse invece acini acerbi”. È con amarezza che l’amorevole vignaiolo si domanda perché le sue cure e le sue attenzioni positive gli riservano in cambio acini acerbi. Perché i gesti d’amore ricevono come risposta l’ingratitudine? All’amore si contrappone il non-amore.

Il vignaiolo innamorato, che ha dedicato le sue idee migliori e tutto il suo ingegno per la vigna, che l’ha vangata e potata con amore, è ferito intimamente dal contraccambio che riceve; è pervaso da un profondo senso di sconfitta e sgomento, alla vista del non-amore, degli acini acerbi.

Nella vigna del Signore non si può tollerare la mancanza di amore, il non-amore non è gradito!

Il vignaiolo non ha nutrito pretese fuori luogo: infatti le infinite cure rivolte alla vigna dovevano dare frutti buoni. La Parola di Dio ci mette comunque in guardia: se da una parte si dà amore, ahimè, bisogna mettere in conto che questo amore potrebbe anche non essere ricambiato. Rimane però amaro il sapore che lascia il non-amore.

Il gesto d’amore del vignaiolo deve essere accolto e sostenuto dalla sua vigna per poter giungere a pienezza. L’amore deve paradossalmente lottare per superare il rischio incombente del non-amore che lo vuole annientare.

Non sempre questa lotta, tra amore e non amore, è andata a buon fine nella nostra comunità di Isnello. Siamo rimasti inorriditi anche noi alla vista degli acini acerbi che hanno deturpato la vigna del Signore, poiché il non-amore possiede solamente il volto del terrore, il gusto aspro della mancanza. Gesù ci raccomanda di amarci gli uni gli altri, per sfuggire con intelligenza all’insidia del non-amore. Il perdonare 70 volte 7 è posto come rimedio a ciò che amore non è!

Amare significa fare del bene. Amare qualcuno significa beneficarlo.

Mi è piaciuto a tal proposito, in questi giorni, farmi accompagnare dal filosofo latino Lucio Anneo Seneca che, sin dagli anni del Liceo è stato per me un grande maestro di vita. Nel De beneficiis, egli propone degli insegnamenti sulla corretta pratica del dare e ricevere benefici, essenziali per sanare una società umana disgregata. Seneca definisce il beneficio come “un’azione benevola che dà gioia e, mentre dà gioia, immediatamente la riprende”. Ciò significa che amare fa bene innanzitutto a noi stessi. E non conta cosa o quanto si dona, ma lo stato d’animo con cui doniamo e benefichiamo il nostro prossimo. È l’animo che imprime l’essenza al gesto d’amore. Produrremo gesti d’amore e sapremo accogliere l’amore degli altri, salvaguardandolo dal non-amore, solo se avremo una profonda interiorità spirituale e una bontà nell’animo. Amare non è semplicemente fare qualcosa di buono per qualcuno. Il Vangelo concepisce questo termine, amore, con l’altisonanza teologica del dare la vita. Amare significa dare la vita.

È dentro di noi, in un animo buono e amante del Bene, che risiede Dio. Ecco perché quando noi ci troviamo accanto persone sincere, che ci amano veramente, rimaniamo consolati. Viceversa, quando siamo circondati da persone che non ci amano, rimaniamo feriti.

Chi è in grado di dare, di elargire benefici, di perdonare ripetutamente e di rispondere all’odio con l’amore, in questa virtuosa via del bene, deve perseverare, nella logica della goccia che, gocciolando, giorno dopo giorno – dopo un tempo lunghissimo – riesce a scavare la pietra. Gutta cavat lapidem!

Amare è la prima istanza, a prescindere da tutto! Sono convinto che chi vive beneficando vive in grazia di Dio!

Cosa c’è da mettere in conto? Ci sono appunto da mettere in conto gli acini acerbi, l’affiorare del non-amore. Tra i molti e più grandi vizi dell’uomo – scrive il filosofo – nessuno è più diffuso dell’ingratitudine. Se si decide di elargire benefici, occorre mettere in conto anche questo: che molti di essi, a causa di una scarsa recettività, andranno perduti. La logica umana è ribaltata: anche un solo beneficio ben donato e ben accolto deve compensare la sofferenza per i molti perduti. Ciò in cui si deve sperare, perseverando e circondando gli altri con i propri benefici, è che anche in un cuore duro e ingrato possa fiorire la riconoscenza.

Fermo restando l’inclinazione all’errore insita nella natura umana, posso assicurarvi di aver agito con animo retto e onesto, di non aver barato nei confronti di nessuno, di essere stato sempre franco nelle cose dette e fatte, anche se, com’è noto, questa schiettezza mi ha causato personalmente molti problemi, incidendo talvolta anche nel cammino della Comunità. Molti, lasciando le loro Parrocchie, si dilungano nei saluti, chiedendo perdono per questo o per quell’altro. Dico, con la chiarezza di sempre, che voglio sfuggire a questo banale protocollo, perché non devo certamente aspettare di celebrare l’ultima messa per chiedere perdono a tutti dall’altare e poi andarmene via. Voglio invece dire che ogni cosa è avvenuta a suo tempo. Ho cercato di far mio l’insegnamento di san Paolo: “Non tramonti il sole sopra la vostra ira, non date occasione al diavolo, scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira.” Quando mi sono accorto di aver sbagliato, non ho mancato di presentare sempre le mie scuse a chi di dovere; viceversa, quando qualcuno ha sbagliato nei miei confronti, ho sempre cercato di farlo presente, a viso aperto, evitando la mormorazione alle spalle, che corrode e distrugge. Se mancanza di Amore c’è stata, chiedo perdono a Dio!

Le mie decisioni possono essere sembrate severe talvolta; di esse sono padre e mi prendo tutta la responsabilità: vi assicuro che mai però sono state prese a cuor leggero. Un padre, se è veramente responsabile, ama e amando corregge, quando occorre, con fermezza. Questo è il motivo per cui ringrazio coloro che si sono sforzati di capire le mie difficili e impopolari scelte, evitando di mormorare alle mie spalle o attaccarmi con ogni mezzo. Quando ho potuto, ho cercato di rispondere con il silenzio, perseguendo con grande fatica la via dei benefici additata da Seneca, la via dell’Amore additata da Cristo.

Sorvolo di proposito sui molti lavori fatti, essi si commentano da soli. Ne approfitto invece per ringraziare tutti coloro che hanno voluto contribuire: la vostra generosità ha permesso che le nostre chiese diventassero dignitose e belle. Nello stesso tempo mi avete dimostrato grande fiducia. Vi ringrazio di cuore. Ho cercato di amministrare con coscienza e senso del dovere.

Ringrazio tutti coloro che mi hanno affiancato nelle molteplici attività parrocchiali, nelle celebrazioni domenicali e nei vari comitati, e tutti coloro che mi hanno sostenuto con la presenza, la preghiera e l’affetto.

Non voglio dimenticare coloro che in questi nove anni sono rimasti sempre alla porta, non sono mai entrati, non mi hanno mai degnato di un sorriso, di una parola buona e sincera, certe volte neanche del saluto… Per fortuna, piccoli gruppi, marginali, che hanno sprecato il loro tempo o la loro esistenza a seminare zizzania, facendo frastuono. Interiormente, ho sempre provato molta tristezza nei confronti di chi non sa amare! Credo infatti fermamente che chi giudica, mormora, demolisce, boicotta, è alla base una persona infelice e insoddisfatta di sé, e che inconsapevolmente corre il rischio di allontanarsi da Dio, che invece è Amore.

Le avversità ci fortificano, è sempre Seneca a istruirci: Marcet virtus sine adversario. “La virtù, senza lo stimolo della prova, marcisce”. Secondo la sua riflessione, l’albero, più è aggredito dal vento, più diventa forte e stabile; la continua violenza a cui è sottoposto irrobustisce e rinsalda più tenacemente le sue radici.

Voglio infine condividere con voi un’unica, bella, riflessione legata ai sacerdoti di Isnello. Mi è capitato, soprattutto in questi ultimi mesi di sentire accanto a me la presenza di Padre Peri “Grande”. Considerando che non l’ho mai conosciuto in vita, ritengo straordinaria la profonda commozione che mi ha suscitato la visione del filmato dei suoi cinquant’anni di sacerdozio. Preparare la serata commemorativa e condividere con tutti voi l’ascolto della sua voce, il suo canto, mi hanno lasciato un segno profondo. Non so il perché, ma lo sento vicino a me più di ogni altro sacerdote. È come se, con il suo volto mite e buono, mi dicesse: “Stai tranquillo, io sono qui!”. Non posso tralasciare di ringraziare Mons. Pino Vacca, che accogliendo il mio invito si è reso disponibile a condividere con noi i suoi ricordi di Padre Peri “Grande”. Reputo un mistero il fatto che proprio io, che non l’ho mai conosciuto, mi sia voluto dedicare con grande trasporto interiore alla commemorazione di quest’uomo di Dio, a venticinque anni dalla sua morte, che in questo paese ha vissuto, ha amato, ha celebrato, ma ha anche sofferto molto. Ci sono dinamiche, nella nostra piccola Isnello, che non sono mai cambiate nel corso dei decenni. Forse sarebbe opportuno arginare il male e fare posto al bene, seminarlo, curarlo, amarlo.

Queste mie riflessioni le affido a ciascuno di voi, augurando a tutti, come ho sempre fatto, di perseverare con fortezza e costanza d’animo nella via del bene. Su questa via del bene, la comunità di Isnello è dunque chiamata a predisporsi nell’accoglienza del nuovo parroco, nella persona di Mons. Domenico Sideli, vostro conterraneo e figlio, mio carissimo educatore negli anni del Seminario, prima come padre spirituale, poi come rettore. Accogliere significa predisporre il cuore alla gioia, alla condivisione e alla collaborazione. Il Parroco ha bisogno di aiuto, ma ha anche bisogno di essere sinceramente amato. Trattatelo bene, poiché egli viene nel nome del Signore!

Voglio esprimere il mio grazie al Santo Padre, Papa Francesco, per la misteriosa amicizia che mi ha concesso, per la sua vicinanza e familiarità. Reputo questo un dono prezioso del Signore, veramente inaspettato! Dono che ho sentito il bisogno di condividere con voi. Due volte il Santo Padre ha ricevuto questa Comunità di Isnello e due volte ha ricevuto i ragazzi dell’Istituto Comprensivo F. M. Palumbo di Castelbuono e Isnello. Sono stati momenti bellissimi, indimenticabili. Tutto ciò lo vedo come una carezza amorosa di Dio per me e per tutti voi.

Con questi sentimenti di cui ho detto, vi abbraccio ancora tutti. Voi siete la Comunità che tra gioie e dolori io ho servito per nove anni e 23 giorni. Non potrò dimenticare le gioie e le cose belle che abbiamo insieme condiviso. Voglio che esse siano più forti delle amarezze. Vi porto con me nel cuore tutti, vicini e lontani, sull’Altare del Signore, per il tempo che il Signore mi manterrà nel suo santo servizio.

Grazie!

Don Marcello Franco

Isnello, 29 settembre 2019