Sebastiano Catania ritorna a presentarci le sue opere con una personale presso l’Ottagono di Santa Caterina di Cefalù, una personale non inedita se guardiamo a diverse singole opere, ma del tutto nuova se consideriamo i nessi e le trame che le collegano;un allestimento che attraversa parte della sua vasta produzione artistica, con tecniche e forme espressive varie ma unificate da un filo conduttore, il cui capo probabilmente bisogna cercare in quella scultura appoggiata quasi distrattamente sul tavolo dell’accoglienza all’ingresso, quasi fuori dalla mostra vera e propria, non collocata in via definitiva in uno spazio specifico dell’esposizione. Si tratta di Diogene, opera nata dall’assemblaggio di diversi materiali, spesso riciclati e riusati, che reinterpreta la figura del filosofo greco antico, noto anche come Socrate il Pazzo, che essendo uscito di giorno con una lanterna, rispose a chi gliene chiedeva la ragione: “Cerco l’uomo”.
Questa affermazione, così lontana nel tempo, è terribilmente attuale, perché oggi più che mai è necessario cercare l’uomo, ritrovare la sua vera identità depurata da tutte le scorie che si sono stratificate nel corso del tempo e che lo hanno allontanato dalla sua natura più genuina. Ed ecco allora, nella scultura, la lanterna per fare luce, ma soprattutto le chiavi, presenti in molte opere di Catania, strumenti di accesso alle verità più profonde, capaci di aprire tutte le porte che attraverso il corpo possono tentare di condurci alle profondità misteriose dell’essere umano, a quell’universo inscindibile di Corpo e anima, per usare il titolo di un’altra scultura. Corpo e anima, l’uomo totale, costantemente in bilico tra il bene e il male, cercato dall’artista Catania/Diogene in ogni sua manifestazione, anche in quelle che lo hanno allontanato dal senso civico di solidarietà etica e sociale che dovrebbe caratterizzare ogni abitante del pianeta terra.
Per cercare l’uomo, bisogna ritornare alle origini e comprendere, attraverso un sottile gioco di geometrie, gli sviluppi della sua storia e le attuali conseguenze.
Al centro della mostra, Caino e Abele e il grande dolore della Terra per il fratello che uccide il fratello, per il male che soverchia prepotentemente anche i legami di sangue e lacera proprio lei, laMadre primigenia, che sembra urlare e farci sentire il fragore della roccia (normalmente simbolo di forza e stabilità) che non riesce a mantenere la sua integrità sotto i colpi della violenza fraterna, simbolo dell’intera umanità fratricida.
Il centro dell’esposizione è come attraversato da due diagonali che congiungono le nicchie della sala, dove sono collocate quattro opere del tutto diverse per materiali e linguaggi, ma legate da un percorso concettuale che impasta denuncia e dolore. Una diagonale congiunge IlParadiso perduto (terracotta) a Usa e getta(materiali di scarto).
Si tratta di un percorso che, nella lotta tra il bene e il male, ha visto l’uomo scegliere la strada sbagliata, quella che lo ha condotto alla perdita del paradiso e alla realizzazione di un inferno sulla terra, un inferno fatto di plastica e di tutti quei materiali che stanno soffocando il pianeta, la nostra casa.
L’altra diagonale congiunge Ecosistema (argilla e legno) a Millenovecentottantatrè (rame, ferro, legno, pietra, terriccio, plastica).
Le opere rappresentano due fuochi che ugualmente devastano il pianeta: gli incendi, spesso dolosi,causa di distruzione della nostra fondamentale fonte di vita, di quel verde produttore di ossigenoridottoasterpo inaridito su una terra arida che mostra le ferite della violenza subita; il fuoco delle armi che tolgono la vita all’uomo e, nel nostro piccolo angolo di pianeta, nella nostra Sicilia, a uomini che hanno assolto il loro dovere nella lotta contro le mafie, come Rocco Chinnici, appunto nel 1983.
Cerca l’uomo l’artista Catania, lo cerca nel pieno della luce del giorno, ma anche lui, come Diogene, ha bisogno di una lanterna per orientarsi nei complessi labirinti che si snodano e si avvinghiano nella mente umana, capace di concepire le cose più grandi, capace di compiere i delitti più efferati. In questa ricerca spesso prevale lo scoramento, il senso di perdita di un sentiero e la consapevolezza dell’irreversibilità di un avanzare che ha perso di vista la meta.
Ai due lati della sala espositiva, sono collocate opere che esprimono due aspetti dell’animo umano: quello ludico – gioioso a sinistra e quello filosofico – esistenziale a destra.
Il primo è il risultato di un sapiente assemblaggio di materiali metallici di scarto, recuperati dall’abbandono (soprattutto in luoghi non consoni e con mancanza di rispetto, ancora una volta, dell’ambiente), messi insieme, colorati e trasformati in sculture: nascono così le figure del gioco degli scacchi e altre opere che rispondono fondamentalmente alla ricerca di un’armonia visiva, che in qualche caso si ispira al ritmo musicale, come nell’opera Intervalli ritmici.
Il secondo nasce dalla costruzione e dall’incontro di diversi materiali volti ad esprimere la condizione dell’uomo relativamente al tempo, all’attesa, all’eterno ritorno, all’assenza di tempo nella dimensione di eternità: finito e infinito, terreno e celeste, perituro e immortale, tempo ed eternità, opposti tra cui l’uomo si colloca con i suoi perché spesso senza risposta, in una disperata ricerca del senso della vita. Diogene cerca l’uomo, l’uomo cerca se stesso.
Di particolare bellezza le sei opere realizzate negli anni Ottanta conla tecnica della sanguigna su carta, espressione del senso di prigionia che attanaglia l’uomo e le sue città, spesso soffocate da interessi che poco hanno a vedere con la loro bellezza e la loro cultura.
Questo tentativo di un percorso all’interno dell’esposizione non è sicuramente esauriente e tanto rimane da scoprire, così come resta da svelare il cammino esistenziale di Sebastiano Catania, persona riservata e poco propensa a parlare di sé, ma che in questa occasione ci offre una mappa della sua vita. Eccola: al visitatore il compito di decodificarla.
Un ringraziamento particolare a Silvia Patti, per la sua cortese collaborazione.
Rosalba Gallà