“il sonno delle ragione genera mostri”. Anche se questo è solo  il titolo di un famoso dipinto (di Goya), si tratta tuttavia di una massima universale, che sotto altra specie si può fare risalire al padre della vera filosofia ellenica (Socrate), fondata proprio sull’esercizio della ragione nella ricerca della verità.

Il motto ci sembra andare a pennello ancora oggi con riferimento al mostro dell’antisemitismo, che malgrado la tragica lezione della storia col suo truce e sanguinoso genocidio degli ebrei, ancora fa sentire il lezzo del suo implacabile rigurgito. E questo è tanto vero quanto il fatto vergognoso che una nobile signora di età avanzata debba girare per le scuole per ammonire i giovani contro la seduzione della malvagità razzista che è ancora capace di ammantarsi di fasulle ragionipolitiche, sociali e morali per carpirne l’innocente consenso.

Per rendersi conto di quanto pretestuose potessero essere le ragioni delle famose leggi razziali del novembre del 1938 basterebbe sbirciare appena gli elenchi delle “Dispense dal servizio di personale universitario e insegnante” (delle scuole di ogni ordine e grado), donde si può capire il vero intento del legislatore del tempo, che era appunto quello di addormentare la ragione per carpire il consenso delle masse.

Che senso poteva avere, per esempio, se non quello cui abbiamo accennato, il proibire l’uso di un classico della Meccanica razionale, qual era il testo dell’insuperabile e insuperato maestro Tullio Levi-Civita, la cui ristampa, dopo essere stata vietata  – come precisa il curatore dell’opera, Ugo Amaldi – nel 1938 dalle leggi razziali, poté vedere la luce solo nel dicembre del 1949, quando la tragedia bellica era terminata e l’autore non era più su questa terra. Dalla meccanica razionale, cos’altro di nocivo poteva esserci contro il regime dell’epoca se non la veglia della ragione, attraverso la sua applicazione a una delle scienze matematiche di maggiore prestigio?

Ma di questo oscuramento non fu soltanto vittima il professore Levi-Civita. Perché gli fecero mesta, anche se illustre e onorata, compagnia diverse decine di altri docenti universitari (tra gli altri anche il futuro Nobel, Emilio Segré, dell’Università di Palermo)e altrettante centinaia di insegnanti delle scuole elementari e medie. Una vera ecatombe in onoredella follia omicida. Perché a queste persone veniva tolta in generale la primaria ragione della loro vita e in parecchia casi anche i più elementari mezzi di sostentamento.

Ecco cosa si dovrebbe primariamente insegnare ai giovani: di non far spegnere in se stessi  l’amore della verità, da ricercare senza paraocchi di alcun genere e contro ogni pregiudizio razziale. Perché quello della verità è un anelito d’ogni cuore umano, come quello della giustizia, della libertà e della fratellanza. E far anche comprendere che per questo si va a scuola. La quale a sua volta deve far leva sulla razionalità della mente, non in funzione di un illuminismo disumanato, ma di quello che nel culto della ragione dona senso al vivere e motivazione all’agire individuale e collettivo.

Un siffatto compito la scuola l’avrà certamente svolto, come può testimoniare l’autore di questa breve nota; ma i frutti sembrano tuttavia irrisori se ancora c’è bisogno di far scortare dalle forze dell’ordine chi può dare testimonianza di un olocausto che solo la mente più annebbiata dall’odio potrebbe negare o sottacere, o far finta di non aver visto o sentito nulla in merito.

GIUSEPPE TERREGINO