l tempo in cui viviamo è all’apice di una lunga stagione vissuta all’insegna di un progresso tecnologico supportato dalla scienza tale da rendere umanamente comprensibile la fede in un progresso senza riserve. Paragonabile, come fa notare Stefan Zweig, a una potente fede religiosa; «si è creduto– egli dice – a questo progresso forse più di quanto si credesse precedentemente alla Bibbia». E questo in base alla serie dei fatti che ne hanno avvalorato il carattere ininterrotto e continuo: oggi cade un diaframma davanti ai nostri occhi, domani il nostro sguardo si posa su cose che la luce della scienza ha liberato dalle tenebre in cui erano state nascoste per secoli; l’antico sogno di Icaro è realtà dei nostri tempi; la conquista dello spazio extra¬terrestre procede con successo; la comunicazione digitale non conosce più distanze di spazio e di tempo.
In siffatto stato di cose acquista – come è ovvio –senso il gioco della fantasia, la quale, resa più ardita dall’ignoranza, immagina attuabili e a portata delle umane possibilità conquiste un tempo ritenute pazze-sche. Sfociando anche nella “sensazione sempre più diffusa che la finalità della scienza consista nell’amplificazione senza limiti della sfera tecnologica e che, quindi, essa sia la fonte per la soluzione di tutti i problemi dell’uomo” (G. Reale). Da assecondare quindi senza remore e senza riserve.
Questo è, però, il lato caricaturale della scienza. Che può diventare tragico quando apprendisti stregoni operano manipolazioni sui processi biologici al di là di quelle colonne d’Ercole che la natura vuole siano rispettate perché si mantenga l’equilibrio tra le diverse forme di vita in un rapporto armonico con l’essere vivente dotato di coscienza. In quel quadro di visione scientifica del mondo compatibile – come dice il prof. Ugo Amaldi – “con la tensione morale , lo spirito religioso, le idee forza, le tradizioni, le aspirazioni con cui ciascuno di noi dà senso alla propria vita”.
Motivazioni queste che possono avere una temporanea sospensione in casi eccezionali come quello della pandemia da corona virus. Ma non ignorate come potrebbe avvenire se si pensassero inesistenti i limiti che ha una concezione saggiamente umanistica in termini di dominio sulla realtà naturale. Uscendo fuori del metodo di ascendenza galileiana fondato su quella esperienza del mondo sensibile volta a interpretarne il lato fenomenico in una sistematica sintesi razionale, basata non su ipotesi astratte riguardo alla consistenza dello stesso, ma su osservazioni non fugaci impostate e condotte a mo’ di vere e proprie “interrogazioni”. Una sintesi matematicamente espressa a conclusione di una oculata attività di misura delle grandezze in gioco nel fenomeno in esame.
Le conoscenze così acquisite non danno, però, la possibilità di risolvere ogni problema con l’immediatezza di una bacchetta magica. Ma di agire nella direzione giusta difronte a un problema nuovo e con la metodologia adeguataper addivenire alla soluzione di esso. A maggior ragione nel campo medico per la innumerevole serie di variabili insite nella natura vivente, per cui la scienza medica non può essere una scienza esatta come le scienze matematiche. E neppure una conoscenza definitivamente acquisita, stante il numero delle incognite possibili.
Come scienza, la medicina nasce nel mondo greco nel quinto secolo avanti Cristo con Ippocrate (470-370 circa a.C). Essa – diceL. Geymonat – «ebbe inizio da una lotta su due fronti, contro la superstizione sacerdotale e contro la generalità filosofica; proprio ciò le permise di essere nel medesimo tempo razionalistica e amante dell’esperienza, cioè veramente scientifica. … Non deduzione astratta da principi a priori; non disciplina meramente pratica, ma vera e propria conoscenza induttiva: conoscenza, cioè, ricavata da centinaia e centinaia di precise osservazioni cliniche, compiute non da una sola persona ma da più generazioni di scrupolosissimi medici».
Un metodo scientifico, quello della medicina di Ippocrate, che anticipa – fatte salve le inevitabili differenze, soprattutto in ordine all’uso dello strumento matematico – di parecchi secoli quello galileiano. Che – sempre secondo Geymonat– «se non ottenne tutti i risultati che potremmo attenderci dalla sua giusta impostazione, ciò dipende proprio dal non aver trovato un livello altrettanto elevato nelle scienze che avrebbero dovuto collaborare con essa».Quali la fisica e la chimica, della cui evoluzione sul lato tecnologico può oggi giovarsi la ricerca medica, avendo a disposizione strumenti e apparecchiature d’indagine ben efficaci ed utili soprattutto nell’esplorazione del mondo microscopico oltre il limite della strumentazione ottica.
Quell’imperscrutabile mondo submicroscopico ove pure si annidano insidie inimmaginabili, anche se, con l’esperienza di oggi, debbono ritenersi abbastanza probabili. Di fronte alle quali la scienza rivela i suoi limiti, che danno una sensazione di impotenza. Come è avvenuto nella recente pandemia da coronavirus. Nel quale caso, sarebbe disonesto dire che la scienza si sia rivelata impotente, perché le conoscenze fino ad ora acquisite sulla natura di questi agenti microscopici infettivi, capaci di innescare processi pandemici di dimensioni planetarie, hanno certamente consentito, mediante le misure adottate, di salvare moltissime vite umane e consentiranno agli scienziati di giungere, in un tempo ragionevolmente non illimitato, alla debellazione del virus attualmente attivo.«Purché – secondo il sempre attuale insegnamento di Ippocrate – i ricercatori siano competenti e conducano le loro indagini tenendo conto delle scoperte già fatte, e usandole come punto di partenza» (L. Geymonat).
L’ostacolo maggiore è però la frammentazione della ricerca sotto l’egida del mercato, che mentre assoggetta la stessa alla logica del profitto, priva gli addetti di quella libertà che ne conservi la peculiare natura umanistica.La quale ultima può solo essere frutto di una collaborazione aperta e sempre attiva a livello mondiale. Necessaria perché ogni indagine si muova da conoscenze già acquisite e si svolga senza condizionamenti di interessi privati o nazionalistici in una logica di profitto o di potenza, legata anche a un uso egoisticamente consumistico delle risorse naturali.
Senza trascurare il dato di fatto che una pandemia come quella attuale, certamente non improbabile nel futuro anche prossimo, esige una preparazione non soltanto psicologica perché siano evitati quei danni che adesso si è cercato di ridimensionare a scapito di valori e stili di vita che danno senso al vivere sociale come è nella natura degli esseri umani. Nonché quelle carenze strutturali che rendono impraticabile un’assistenza medica e infermieristica efficiente ed efficace secondo il bisogno.
Giuseppe Terregino