«La drammatica emergenza sanitaria che negli ultimi mesi si è abbattuta sul nostro Paese e che si sta velocemente trasformando in emergenza sociale, ha messo in luce le numerose criticità irrisolte del nostro welfare, che sconta ormai da tempo una miopia cronica nei confronti delle categorie più fragili. In un momento drammatico come quello che stiamo vivendo, ci saremmo aspettati un potenziamento del Terzo Settore, che avrebbe potuto e dovuto giocare un ruolo cruciale nell’apportare, per esempio, supporto al sistema sanitario in affanno attraverso l’esperienza di figure professionali altamente qualificate, rappresentando un volano per l’intera economia nazionale», è l’appello lanciato da Francesca Di Maolo (foto), Presidente dell’Istituto Serafico di Assisi.
«Le strutture sanitarie e socioassistenziali non profit sono state continuamente penalizzate. Anche se convenzionate con il SSN, hanno dovuto dotarsi autonomamente di tutti gli approvvigionamenti di mascherine, guanti e disinfettanti perché, specie nella prima fase d’emergenza, si è pensato alle sole strutture pubbliche. Dopo aver sostenuto tutti i costi dei dispositivi di sicurezza, ora subiamo anche la beffa di non poter richiedere il rimborso previsto dal DL del 17 marzo 2020, che lo riserva solo alle imprese, a meno che non intervengano dei correttivi. Un grave limite della politica è che idealmente parla di terzo settore e di società civile, ma in realtà lo ignora e lo dimostra proprio in questo caso, in cui non considera che tanti ospedali e Centri sanitari e socio-assistenziali non profit non vengono gestiti nella forma dell’impresa. Queste strutture svolgono comunque un ruolo di fondamentale importanza e sono tutte impegnate in prima linea a contrastare l’emergenza coronavirus. Non stiamo parlando di piccole realtà, ma anche di Centri di riferimento nazionale nel campo sanitario, con esperienza a volte centenaria», spiega la Presidente Di Maolo.
«Ci chiediamo, quindi, se tutte le nostre strutture, i nostri operatori, le persone con disabilità di cui ci prendiamo quotidianamente cura siano invisibili, – prosegue Francesca Di Maolo. Anche a livello regionale abbiamo a che fare spesso con normative che disconoscono parte del terzo settore e ne abbiamo avuto prova in tutte quelle Regioni in cui, in attuazione dell’art. 48 del DL del 17 marzo 2020, si sono stipulati accordi solo con le cooperative sociali per l’attivazione di servizi sociosanitari e socioassistenziali, dimenticandosi l’altra parte del settore sociosanitario del non profit che non svolge le attività in forma cooperativa. Di questo passo si rischia di mettere in ginocchio il Terzo Settore, condannandolo per sempre all’irrilevanza, con gravi ripercussioni sia per migliaia di lavoratori, sia per la vita della popolazione più vulnerabile».
Con la fase 2 dell’emergenza, il Governo ha decretato finalmente la possibile della riapertura dei Centri diurni per disabili, dando il via libera alle stesse Regioni, che dovranno però garantire la riattivazione dei Centri attraverso piani territoriali e specifici protocolli, nel rispetto delle disposizioni per la tutela della salute degli utenti e degli operatori. Non sono però ancora stati scritti dei protocolli specifici e le persone disabili, e le loro famiglie, devono fare i conti con risposte che continuano a farsi attendere. Una macchina complessa e ricca di contraddizioni, che risente dell’insufficiente supporto assistenziale e sanitario rivolto alle categorie dei più fragili ancor prima dell’emergenza Covid-19.
«Quest’attesa si sta facendo sempre più pesante perché in questi mesi di chiusura dei Centri, le Asl e i Comuni non hanno quasi mai attivato le co-progettazioni di servizi alternativi ai ricoveri nei Centri diurni, anche se il decreto “Cura Italia” non metteva limiti agli interventi: domiciliari, a distanza, o personalizzati e individuali, da svolgersi negli stessi Centri diurni», sottolinea F. Di Maolo.
«E se le istituzioni si stanno preoccupando – comprensibilmente – della riapertura di parrucchieri, estetisti e ristoranti, è doveroso ricordare loro che nessuno e a nessun livello istituzionale ci ha saputo dire come e quando potremo rimettere in moto tutte quelle attività sanitarie e sociosanitarie che sono fondamentali alle persone per vivere con dignità. Le attività per i disabili devono essere ripensate e fatte ripartire il prima possibile, perché queste persone rischiano di perdere le autonomie conquistate e i progressi raggiunti dopo lunghi periodi di riabilitazione. C’è inoltre in ballo il futuro delle nostre strutture e quello di tanti lavoratori che per anni hanno seguito la vocazione del prendersi cura», chiosa Francesca Di Maolo.
«Siamo stanchi di accettare passivamente che le categorie dei più fragili vengano costantemente dimenticate, l’intera collettività deve farsene carico, a partire da ogni livello istituzionale. La possibilità di erogare “servizi alternativi” andando in deroga a normative vecchie e assolutamente lontane dai bisogni delle persone con disabilità rappresenta una grande opportunità per riprogettare un welfare a misura delle persone. Per la prima volta ci è concesso di effettuare dei progetti personalizzati ed è questa la strada da perseguire per una vera ripartenza: superare la burocrazia e passare da un welfare che si basa sulla standardizzazione dei bisogni e dei servizi, ad un welfare che risponde con servizi differenziati ai bisogni della persona. Voglio avere fiducia nelle istituzioni – auspicando che non prevalgano quelle stesse logiche di contenimento della spesa che hanno caratterizzato gli interventi di assistenza sanitaria degli ultimi anni – e voglio sperare che sappiano finalmente riconoscere alle persone più fragili il diritto di sentirsi a pieno titolo parte della società. Dobbiamo trarre da questa pandemia una lezione da non dimenticare: non ci sarà progresso per nessuno se non sapremo prenderci cura delle persone più vulnerabili! E se vogliamo davvero creare nuovi posti di lavoro, creiamoli liberando energie e risorse per la cura delle persone. Questo non deve essere il momento di una nuova rivoluzione industriale, ma che sia l’ora della prima rivoluzione della cultura della cura», conclude la Presidente Di Maolo.
Intanto, per dare un sostegno concreto alle famiglie dei ragazzi con disabilità gravi, che stanno facendo i conti ormai da diverse settimane con la gestione di una quotidianità spesso difficile e complicata, l’Istituto Serafico ha attivato su tutto il territorio nazionale un numero verde attraverso il quale un’equipe multidisciplinare di medici e professionisti potrà rispondere alle richieste dei genitori in difficoltà. Per parlare con gli esperti del Serafico basterà contattare il numero verde 800 090 122, che sarà attivo tutti i pomeriggi, dal lunedì al venerdì, dalle 15 alle 17.
Il Serafico, fondato nel 1871, è un modello di eccellenza italiana ed internazionale nella riabilitazione, nella ricerca e nell’innovazione medico scientifica per i ragazzi con disabilità plurime. Convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale per trattamenti riabilitativi residenziali, semiresidenziali ed ambulatoriali, il Serafico accoglie e cura ogni giorno 157 pazienti, provenienti da tutto il territorio nazionale, per un totale di 14.841 trattamenti riabilitativi e 15.842 trattamenti educativi-occupazionali all’anno (dati 2017). In una superficie complessiva di circa 10.000 mq, posta su di un’area di 40.000 mq, sono disponibili 84 posti letto in regime residenziale, 25 posti letto in regime semi-residenziale, oltre ad un servizio ambulatoriale e di valutazione diagnostica-funzionale. Le persone al servizio degli utenti sono oltre 200: circa 163 tra collaboratori e dipendenti e i numerosi volontari, che mettono in campo non solo capacità e competenze, ma anche un “capitale di umanità” in grado di entrare in sintonia con i pazienti. Per informazioni: www.serafico.org