L’accoppiata di immagini (Galileo e Papa Francesco) di questa nota, in un tempo anche non molto lontano, avrebbe fatto storcere il naso a più di una di quelle persone edotte sul caso Galileo. Il quale nell’immaginario corrente, proprio in virtù della famosa condanna del copernicanesimo (sostenuto dallo scienziato pisano), rappresentava il contrasto insanabile tra la razionalità scientifica e la fede religiosa.
Oggi non è più così. Anche tra la gente comune con una generica infarinatura sul caso anzidetto, non possono ignorarsi le prese di posizione dei pontefici del secolo scorso e degli ultimi due di questo secolo a favore non solo della scienza in generale, ma anche e soprattutto in riferimento a Galileo; che Giovanni Paolo II definì “sincero credente”, non in privato, ma dinanzi a un qualificato pubblico internazionale di studiosi, nel discorso pronunciato il 31 ottobre 1992 all’Accademia Pontificia a conclusione dei lavori della Commissione di studio (voluta da lui stesso) sul controverso caso anzidetto. Dopo avere anche detto (nel 1980 agli scienziati riuniti nel Duomo di Colonia) che a Galileo si deve riconoscere il merito “di avere egli enunciatoimportanti norme di carattere epistemologico indispensabili per accordare la Sacra Scrittura con la scienza”.
Così venendo a confermare il giudizio di Giorgio De Santillana, secondo il quale Galileo “fu non solo gloria della scienza cattolica ma difensore della fede”. I contrasti avvenuti nel secolo XVII, dovuti più a motivi politici con riferimento alle caste intellettuali che allora primeggiavano nell’ambito ecclesiastico, non possono sminuire quanto afferma il professore Ugo Amaldi a proposito della visione scientifica del mondo venutasi a costituire in virtù del metodo scientifico scoperto proprio dallo scienziato pisano. Mediante la quale, ferma restando la validità di quanto abbia avuto un valore umanistico atto a dare senso alla vita di ciascuno nell’ambito della cultura e della tradizione in cui questi si sia formato, si vuole affiancare la prospettiva di “un prodotto tipico dello sviluppo intellettuale di una cultura particolare, quella dell’occidente giudeo-cristiano, ma che si è alla fine rivelato essere molto più generale delle sue radici storiche e culturali”.
La triste storia dell’avvento del coronavirus ha reso attuale la consonanza tra lo spirito religioso e la visione scientifica del mondo: l’uno e l’altra insieme all’opera per addivenire a una soluzione dell’immenso problema che si è aperto. Mettendo a dura prova la scienza, sconfessata nella sua potenzialità dai ritardi inimmaginabili da chi la riteneva onnipotente. Come non è invece la scienza galileiana, la cui potenza sta nel metodo, infallibile sì, ma quando sussistano le condizioni perché possa essere applicato. Cosa che nella specie si è rivelata non alla portata della tecnologia operativa, stante la misteriosa genesi dell’agente infettivo e dell’ambito alquanto oscuro della sua sussistenza.
Si è trattato di uno di quei limiti sussistenti in ordine alla conoscenza della realtà materiale solo parzialmente accessibile dai sensi umani. Limiti che la tecnologia può ridurre ma non eliminare del tutto. Quando il telescopio e il microscopio ottico hanno accorciato l’orizzonte esterno e allungato la penetrazione negli insondabili recessi della materia, si sono aperte vie della conoscenza fino ad allora impraticabili. E tante malattie sono scomparse dal novero delle incurabili.
Oggi la medicina può giovarsi della collaborazione di scienze come la fisica e la chimica, adesso in grado di fornirle quel supporto tecnico inesistente al tempo di Ippocrate e dei suoi immediati successori. Nonché di fornire al ricercatore in contemporanea un numero di dati superiore a quello ricavato “da centinaia e centinaia di precise osservazioni”. Quale sarebbe quello reperibile dalla tecnologia del CERN di Ginevra, messa a disposizione della ricerca medica dalla Direttrice Paola Giannotti. Se finalmente si capisse che la ricerca in campo sanitario può raggiungere risultati rapidi e sicuri abbattendo le barriere poste da interessi particolari di potentati economici e da mire imperialistiche delle grandi potenze mondiali.
Questo non basterebbe tuttavia ad annullare quei limiti che la scienza non può non avere perché ontologicamente connessi – come è nel caso della scienza medica – all’essere umano riguardo alla conoscenza della natura. Sempre prodiga di sorprese.Come è il caso di quegli esserini, denominati virus, che si annidano in quel misterioso mondo submicroscopico, dove essi pullulano malgrado ai nostri sensi, pur col supporto dei più potenti microscopi elettronici, le sue dimensioni sembrino assolutamente inospitali. Il che rende non del tutto impraticabile il ricorso ad una Entità superiore – ovviamente per chi ci crede – perché la sua Sapienza scorti la scienza in tali oscuri meandri.
Un tempo, quando i nostri sensi non erano in grado raggiungere le profondità del mondo microscopico, un male improvviso, occulto nella genesi e inspiegabile nel diffondersi, come l’attuale processo pandemico, poneva l’essere umano nell’angoscia di non sapere a quale santo votarsi. Nel mondo cristiano si pensava anche (erroneamente) che si trattasse di una punizione dei peccati umani. Onde il ricorso ai santi perché intercedessero a favore dei peccatori pentiti e disposti a convertirsi, come testimoniano le preghiere e gli atti penitenziali compiuti. Dei quali fa menzione il poeta “zappatore” Carmine Papa nell’ode, carica di struggente patos, su “Lu colera di lu 1837”.
Questo adesso non può neppure pensarsi. Perché la scienza ha tolto il velo di ogni nascondimento alla genesi del morbo e al suo propagarsi. Ma la scienza non dà bacchette magiche che possano essere brandite all’occorrenza: dà regole sicure per attuare il procedimenti risolutivi dei problemi. Che possono essere più o meno laboriosi a seconda del grado di conoscenza del contesto in cui debbano essere posti in essere. Il quale può essere imperscrutabile, com’è di fatto quel mondo submicroscopico in cui hanno vita i minuscoli agenti infettivi dell’attuale pandemia. Per cui risulta arduo coglierne l’identità al fine di inventare l’antidoto idoneo a debellarli.
Se qualcuno teme che la scienza sia impotente perché si prolunga l’attesa del rimedio, questi si sbaglia. Come sarebbe ingiusto chi dicesse che nulla sia stato fatto fino ad ora con le restrizioni praticate. E come ancora sarebbe presuntuoso chi ritenesse ingenuo invocare la protezione dall’alto per accompagnare l’impegno che occorre per addivenire alla soluzione auspicata. Perché l’essere umano, quale che sia l’ipotesi sulla sua sostanza identitaria, ha certamente un lato esistenziale della sua vita che si estrinseca in un ambito immateriale per ciò che attiene alla realizzazione piena e completa della sua persona. Quell’ambito in cui ha ancora senso invocare dall’Onnipotente, tramite i suoi eletti, la luce della mente, il conforto del cuore, la speranza di una vita risanata e prospera.
GIUSEPPE TERREGINO