Volto pensoso il guardo ad Occidente,
proteso sopra l’acqua cilestrina,
vane scorrendo l’ore e sul finire
d’un giorno senza storia qualsivoglia
tingendo la memoria di rimpianto
la luce che s’ammorbida e rosseggia.
Mutano forme come a divenire
vanno pensieri e sogni, in dissolvenza
sfumano colori. Ed è svanire.

«L’ora classica della bellezza di Cefalù è l’ultima parte del giorno. Chi la voglia godere in tutto il suo splendore la contempli nel pomeriggio da Santa Lucia o dal lungomare: quanto più il sole si china sul mare, quanto più la luce va facendosi morbida e calda, tanto più penetra gli spazi della città e della sua montagna. E, come se si liquefacesse nell’impasto di terra e di acque, si diffonde dappertutto in una tonalità pacata. … . E’ questo il momento più completo della bellezza di Cefalù». 

Con questa magistrale pennellata, Steno Vazzana, colui che forse, e senza forse, possiamo considerare il più alto cantore della sua amata terra natia, riproduce l’ineffabile incantodel panorama di Cefalù al tramonto nella visuale prospettica da occidente, verso cui, per vocazione atavica, la città col fronte dei suoi tesori artistici e della sovrastante rocca volge lo sguardo. E, insieme a lei si immedesima nel naturale rito del tramonto colui che dal lato opposto, verso Santa Lucia, si volge a contemplare, proprio nell’ora della massima bellezza della città, “quando la luce va facendosi morbida e calda”,la fantasmagorica bellezza dell’ora crepuscolare. Che è l’ora della meditazione e del rimpianto, in cui si scopre il vano troppo inseguito e si rivela il vero, che però non è più dato di cogliere abbastanza.

In quest’ora il cefalutano, proprio per l’incanto di un tramonto quasi sempre di incomparabile bellezza difficilmente può resistere alla tentazione di un abbandono poetico. Perché essa fa sentire più dolce il gusto della giornata:fa sentire la dolcezza del poterla meglio contemplare; la quale tempera l’amaro del tramonto, che è metafora di quell’occaso, irremovibile cruccio esistenziale, che ognuno teme e istintivamente vuole esorcizzare con la consolazione di almeno un altro domani, legato alla vicenda del “Solesoccidere et redire possunt”.

Nella bellezza del tramonto diventa incontenibile la nostalgia del vissuto che non può tornare;nonché il rammarico del tempo trascorso invano. Rivissuti entrambi nel dono  della rimembranza innescata dal lume del sole cadente; la quale è un vero stato di grazia. Perché labile è il confine tra il vivere e il rivivere. E questo non è soltanto fonte di rimpianto, ma dilatazione della vita presente in una dimensione non estranea all’esistere, a cui dà pure senso, come il vivere nella prospettiva di un sogno. Una dimensione che conferma il carattere proprio della natura umana, alla quale, unica, ne è riservato l’accesso. Non sempre gratificante, specie quando vengono toccate le corde dolorose della vita. Ma pure in questi casi confortevole se ci si compenetra del comune destino degli uomini.

Una vocazione, quella di Cefalù, o meglio sarebbe dire un destino, il destino di un luogo destinato a cogliere il fugace volto della bellezza nell’ora “che volge il desio ai naviganti e intenerisce il core”. Una vocazione, la sua, accidentalmente compresa e assecondata dalle molte generazioni che ne hanno calpestato il suolo.«Tutti i popoli – rileva Steno Vazzana – che costruirono a Cefalù ebbero una predilezione occidentale. Né soltanto la città nel suo insieme, ma i suoi più significativi edifici guardano al sole calante. … Ma per gli edifici singoli non c’è di questo orientamento delle fronti a ponente che una giustificazione o di carattere religioso o occasionale o perfino estetico. Qual è che sia stata, pare fatale che il destino occidentale dell’intera città, stabilito all’atto della positura delle sue mura in epoca protostorica dovesse condizionare la prospettiva dei massimi edifici al suo interno». 

Una vocazione che è stata anche la ragione prima del suo successo; e del richiamo esercitato da sempre (urbsplacentissima la defini Cicerone) non solo su vacanzieri, come prevalentemente al giorno d’oggi, ma su artisti, scrittori e poeti; i quali hanno tratto motivi di ispirazione dall’incanto esercitato su di loro da questa posizione privilegiata dalla natura per ostentare inconsueti tratti la sua inimitabile bellezza. Il cittadino di Cefalù è condizionato dallo sguardo verso occidente della sua città a vivere, giorno dopo giorno, tali stati d’animo in una coi suoi pensieri. Perché dalla sua finestra di casa, dalla Marina o da sotto la Rocca l’ora del tramonto lo chiama a mescere pensieri e sogni nell’impasto della luce che s’ammorbida e rosseggia.

Giuseppe Terregino