Si è conclusa ieri sera la festa minore dell’apostolo Giacomo, protettore di Gratteri. Un tempo questa era l’unica festività in onore del Santo, come ci ricorda il Passafiume nel suo sostanzioso e fedele saggio storico De origine ecclesiae cephaleditanae del 1645, ove è dato di leggere: «Di questo borgo (ove risiedono 1630 abitanti) è Patrono San Giacomo Apostolo, del quale si celebra solennemente la festa il 25 del mese di luglio, quando si porta in processione una statua lignea rivestita d’oro insieme con una preziosa reliquia costituita da una parte di costola dell’Apostolo medesimo. Per l’occasione accorrono in loco le popolazioni limitrofe, spinte dalla devozione legata ai miracoli. (Durante i festeggiamenti) vi sono giorni di mercato e si svolgono gare di corsa».
In seguito, per ragioni di opportunità logistica, essendo il mese di luglio destinato prevalentemente alla raccolta delle derrate alimentari, la festa venne spostata al 9 di settembre, il giorno successivo alla celebrazione a Gibilmanna della natività della Vergine Maria. Con l’intento – secondo Angelina Lanza – di una migliore riuscita della festa, «perché la Gran Signura le mandi la fiera, la musica, la folla, la voglia di godere».


Questa spiegazione, dettata dal cuore di una poetessa in un momento di nostalgia, che le fa sembrare di “essere là, per le viuzze in salita del paese…”, dove fu una volta, e, al ricordo, le ritornano alla mente tutti i particolari della processione di San Giacomo “rimasti vivi nella memoria”, non può non convincere chi la legge. Come non può non avere un forte impatto emotivo nell’animo di un gratterese l’elogio che lei fa della pietà della gente di questo minuscolo ma non insignificante aggregato urbano. «Chi ha veduto – lei rileva – solo le lunghe, distratte processioni cittadine, non può avere un’idea di questo popolo ardente e raccolto che va per le sue stradette, ordinatissimo, col cuore di onorare veramente il Santo che lo protegge».


Ed è vero: la processione di San Giacomo della festa grande (ed anche quella della festa minore)
è sempre un atto di pietà sentito e vissuto intensamente dall’intera popolazione; dall’inizio fino alla conclusione, struggente durante la benedizione seguita dai portatori del fercolo in ginocchio, pronti a scattare in piedi all’unisono all’evviva San Giacomo scandito dal coordinatore della cerimonia. Mai una sbavatura, mai un gesto scomposto: ma solo “ardente” raccoglimento in onore del Santo.
Questo attributo elogiativo di Angelina Lanza, una mistica che seppe vivere compostamente il dolore per la perdita delle persone più care in unione con Gesù sofferente, dovrebbe essere un monito per i gratteresi a non farsi traviare nel culto al loro Santo patrono dalla temperie consumistica che nelle manifestazioni religiose vede solo il lato folcloristico, da esaltare in termini pubblicitari. Sarebbe bello, invece, se essi sentissero tutto l’orgoglio per un giudizio così esaltante sotto il profilo morale di una donna di grande fede e di altrettanto grande caratura intellettuale, del cui nome il paese ha ritenuto di potersi onorare inserendolo nella toponomastica, come quello di una illustre gratterese di adozione.


La scrittrice indulge anche in alcuni dettagli, che descrive vivendone il ricordo con estrema simpatia come si trattasse di un contesto vicino al suo cuore. Mentre si rattrista al calar del sole della giornata festiva, nutrendo per un attimo quasi un sentimento di invidia, per il fatto di essere, in solitudine, estranea al festino. Sentimento che immediatamente rimuove perché è bene per lei “ciò che godono gli altri”. A lei basta seguire con la fantasia “le piccole anime semplici che fanno il loro atto di fede al Santo, pregando che la grandine sia tenuta lontana dal loro poderetto: «Dietro la statua, le donne in mantellina, tante poi tante, ristrette l’una all’altra come pecorelle nere, s’affollano, ripetendo in coro, a dispetto della banda, le loro solite canzoncine». Mentre «qualcuno occhieggia dalle finestre; che vi sono caruse belline, nei vestiti nuovi; bambini felici d’avere il pa’ tutto per loro, e il fischietto di latta; borghesi, beati del riposo, che si sfogano a parlar di politica in piazza».
Un quadretto paesano, quello appena riportato, che fa nascere anche in noi la nostalgia di un tempo così denso di umanità pur nelle difficoltà di una vita stenta e grama. Un tempo, purtroppo, ormai definitivamente trascorso. Che però, se non può più tornare, non sarebbe giusto cancellare del tutto dal cuore della gente di Gratteri per quello che di buono certamente viveva in esso. Soprattutto nell’atto di onorare il Santo che lo protegge.
GIUSEPPE TERREGINO