“Questa la presentazione della Professoressa Rosalba Gallà che ringrazio oltremodo per la sua preziosa e, da me, apprezzata e ammirata recensione che ho il piacere e l’onore di pubblicare e di condividere con voi. Doveroso per me è ringraziare anche l’amico Antonio Barracato, la Dott.sa Antonella Scicolone, il Rotary Club di Cefalù, il museo civico Mandralisca e quanti, grazie al loro apprezzatissimo contributo, hanno reso possibile la presentazione del mio libro, seppur in maniera ristretta e virtuale, nel pieno rispetto delle normative anti-covid.”
Antonello Di Carlo


Recensione di Rosalba Gallà
L’opera Viaggio in Sicilia di Antonello Di Carlo si pone sicuramente come un doppio omaggio: uno all’autore molto amato e al suo Gran Tour in Sicilia, Goethe, l’altro alla sua (nostra) terra, rivissuta nostalgicamente dall’autore, presentata già nell’ode iniziale dell’articolato testo con tutta la sua ricca storia e le tante genti che “nel misericordioso grembo ha avvolto come un genitore accorto, genti a cui ha rubato il cuore e la mente”, per cui alla fine sembra essere proprio la Sicilia la conquistatrice dello straniero: una terra, insomma, che accoglie tutti e non manda via nessuno e la mente va inevitabilmente anche alle vicende dei nostri tempi. Una storia ricca quella della Sicilia, rivissuta attraverso le immagini dei segni, una storia ripercorsa interamente nell’ode introduttiva, fino all’attualità non sempre all’altezza del prestigioso passato, con lo scopo, ma anche con il dubbio, di poter smuovere le coscienze e l’umana memoria. Presente, nel corso dell’intera opera, una venatura malinconica per essere andato via, per avere abbandonato la sua terra e per il timore che il riscatto “come un boato per l’umanità arriverà quando sarà già ossa e cenere”. Resta l’esortazione ai conterranei a far brillare nuovamente la terra, come è accaduto per millenni, perché è proprio in Sicilia che si trova la chiave di tutto, citazione che ricorre nel corso del libro.
Due piani, dunque: omaggio alla propria terra e omaggio a Goethe. E da lontano Di Carlo ripercorre la sua terra in due diversi Gran Tour, che dividono implicitamente l’opera in due parti: il viaggio di Goethe e quello personale, accomunati dall’immaginazione e dalla memoria. Ma se nella prima parte del libro, Di Carlo, assumendo le vesti di Goethe ne ripercorre il Tour, è sicuramente diverso lo stato d’animo: per lui non è solo un’esperienza di ricerca della bellezza in luoghi nuovi, non è solo un’esperienza storico-culturale-estetica; si tratta piuttosto di un “ritorno”, seppure immaginario, nella propria terra, un nostalgico viaggio nei luoghi delle sue origini. E la nostalgia, etimologicamente, è un dolore, un dolore che nasce dal desiderio di qualcosa che si avverte come perduto, di un luogo in cui si vuole ritornare, un nostos, il ritorno a casa dopo un lungo viaggio. Quindi, Di Carlo, come Ulisse, torna a casa e lo fa attraverso le tappe dell’autore da lui più amato e che ha letto in lingua originale, Goethe appunto, nella prima parte, mentre nella seconda parte rende omaggio alla sua terra attraverso la memoria dei suoi viaggi, dei suoi paesi e attraverso elementi che assumono valore simbolico, come l’Abies nebrodensis o i vini pregiati, vini come arte, come pittura e musica, che raccontano una terra, quella dove fioriscono i limoni.
Lo stesso Di Carlo, nella prefazione, parla del suo Viaggio in Sicilia come di un’avventura, esperienza avvincente ma nello stesso tempo irta di rischi e pericoli, un modo per uscire anche dalla monotonia della vita quotidiana che spesso tende ad appiattirci verso lo scontato e il banale ritmo delle nostre attività per lanciarsi in un’esperienza estetica, ma soprattutto spirituale. Se Goethe si è ‘avventurato’ nel Gran Tour seguendo una moda del suo periodo, per un’esperienza che lo elevasse dalla sua quotidianità, per staccarsi da una situazione sentimentale soffocante, per il desiderio di conoscere direttamente l’ellenismo, la romanità, l’archeologia, in Di Carlo prevale il desiderio del nostos e la volontà di completare il viaggio di Goethe e di ripercorrere le sue personali esperienze.
L’opera si presenta, tecnicamente, come un prosimetro, in cui vengono alternate prosa e poesia: la prima ha lo scopo di presentare, anticipare e sintetizzare ciò che verrà evocato nelle parti in versi, che in genere seguono il ritmo dell’ode, strizzando l’occhio al poema, soprattutto nella parte proemiale, in cui, ormai nelle vesti di Goethe, avviene la presentazione e l’invocazione. Il verseggiare è arioso, senza schemi rigidi, giocato soprattutto nei reciproci richiami e rimandi di rime, assonanze e consonanze, volte a sottolineare parole e concetti chiave. Anche il linguaggio utilizzato è libero, alternando ad un registro colloquiale momenti di eleganza e raffinatezza, in un equilibrio che rende la lettura agevole e coinvolgente. L’intento poetico è di evocare i suoni, gli odori, i colori dei quali già Goethe era informato, con la collaborazione di Kniep (disegnatore e pittore tedesco) e portando con sé il resoconto del viaggio di Riedesel (viaggiatore, diplomatico, ministro tedesco che su indicazione di Winchelmann aveva già visitato il sud dell’Italia e la Sicilia), lasciando importanti annotazioni. E così, come viene detto nell’anticipazione del viaggio, nell’ambito del Gran Tour di Goethe, la destinazione siciliana ha un fascino che non ha nulla a che vedere con l’Italia del nord, perché la Trinacria, al centro del Mediterraneo, è la culla dell’ellenismo italico e la madre del mito, Isola Magna.
Inizia, quindi, il racconto in versi (con relative parti in prosa) del viaggio di Goethe in Sicilia, a partire dalla meraviglia destata dall’arrivo a Palermo il 2 aprile 1787: la bellezza del luogo suscita in lui un vero e proprio innamoramento che lo accompagnerà per tutto il viaggio fino al desiderio leopardiano di Goethe/Di Carlo di naufragare sulle marine onde con dolcezza. Dall’approdo e per tutto il Tour c’è un’ammirazione della bellezza dei luoghi, di paesaggi, dei tramonti, delle architetture, delle vedute dei luoghi del mito. La Sicilia vissuta come gemma splendente secondo la definizione che ne diede Idrisi. Dopo Palermo, Bagheria, Monreale, Alcamo, Segesta, Castelvetrano, Selinunte, Sciacca e poi Agrigento. Da Agrigento non ci sarà la partenza per Siracusa e Ragusa, ma la deviazione verso il centro dell’isola, verso Nissa e Castrogiovanni (Caltanissetta e Enna), alla scoperta di quello che era stato il granaio di Roma. Viaggio non certo agevole, ma la scoperta di luoghi diversi e di un’altra Sicilia (molto diversa da quella costiera) si rivelò un’esperienza importantissima. Seguono le tappe immaginate da Di Carlo, ma mai realizzate da Goethe, di Ragusa e Siracusa e, infine, con il ritorno all’effettivo Tour del poeta tedesco, Catania, Etna, Aci Castello, Taormina, Messina. Il 14 maggio 1787 partenza alla volta di Napoli. Che cosa porterà con sé Goethe e che cosa porta con sé Di Carlo:
“…L’alloro, il mirto, i mandorli e i fichi
I templi, gli anfiteatri, le ville e i castelli
Indimenticabili tramonti su siti antichi
Dolcemente hanno accompagnato i momenti più belli…”

Insieme a questo, la certezza di Federico II di Svevia: “Non invidio a Dio il paradiso perché son ben soddisfatto di vivere in Sicilia”.
La seconda parte del libro, come avevo anticipato, evoca il viaggio personale di Antonello Di Carlo, con lo stesso vigore estetico-culturale della prima parte, ma con un tono che sgorga dalla sua nostalgica esperienza. Si tratta di omaggi a luoghi e simboli della Sicilia, senza un evidente progetto ma sull’onda dei ricordi. Le Madonie con i suoi paesi, Cefalù, la casa di Pirandello, il mandorlo in fiore, l’Abies nebrodensis, i vini della tenuta Regaleali, Calatafimi, Caccamo, Piraino…
Lo stile sempre arioso e libero, come ho già detto, con l’introduzione della lingua siciliana nelle odi dedicate a Sclafani Bagni, Polizzi e Piraino: un siciliano fresco, usato con lo stesso gioco di assonanze e consonanze, di richiami e intrecci, come trame di un discorso che anche attraverso la lingua vuole presentare territori vari, diversi ma spesso unificati dallo stesso afflato della memoria.
Una guida in territori a lui noti, per far conoscere e amare la sua terra verso cui nostalgicamente tende e nei confronti della quale nutre sensi di colpa per averla abbandonata. Di ogni ambiente vengono delineate la collocazione, la storia, le tradizioni, gli usi, i monumenti, l’arte e tutte le peculiarità. Luoghi fortemente ancorati al passato ma che devono accettare le complesse sfide del presente, puntando sulla loro bellezza paesaggistica e soprattutto sulle tracce e sui tesori che una lunga storia ha lasciato in eredità.
E dipingendo con i versi l’elegia Antonello Di Carlo ritorna alle preziose essenze di Sicilia:
“…E mentre trepidante attendo
Il momento per riassaporarle,
nell’averti cantato ho ritrovato
il modo per tornare a respirarle…”