Stanca dopo l’ennesima giornata trascorsa in ospedale , tra la fatica e la preoccupazione dell’emergenza Covid, ritornando a casa si ritaglia un pezzo di normalità e comincia a mandare qualche augurio di buone feste, si imbatte in un articolo della nostra redazione  che la colpisce e sente il bisogno di  raccontarsi  in una riflessione fatta di rabbia, dolore, sconforto chiedendo di farci voce perchè nessuno abbassi la guardia d’innanzi a questo nemico del respiro, che sta subendo come sappiamo tutti anche delle modifiche per cui sarà sempre più complicato trovarvi una cura efficace.

Lei è Anna Sagona, fisioterapista, segue i pazienti con problematiche respiratorie , si occupa del trattamento riabilitativo dei pazienti post covid a Villa Sofia, lei come tanti altri “soldati” della medicina ogni giorno è impegnata in prima linea.

Ci scrive con uno sfogo accorato: “sono stanca, questa battaglia quotidiana è un grande dolore da vivere”. Tra le tante situazioni del quotidiano ci racconta della morte di una donna,ricoverata per un bruttissimo incidente,  una paziente morta non per il covid ma per altre complicanze, il dolore più grande avere visto questa donna, giovanissima, essere morta da sola, lontano dagli affetti più cari che non le sono potuti stare vicino, causa rischio infezione covid.

Per proteggerla nessuno ha potuto salutarla, abbracciarla, offrirle il sorriso, una parola di conforto, cosi è morta lontano da tutti, di lei ricordiamo per rispetto solo l’iniziale del nome  “ S”.

Si muore da soli, lo sappiamo tutti, però c’è un momento importante che è fatto di riti che ci salvano, creando un ponte tra il corpo e l’anima che vanno via e chi resta, è il momento degli sguardi contemplativi, delle lacrime versate, di quel timido sfiorare le mani fredde di chi è morto, quel momento di silenzio, fatto di ricordi e preghiere.

Il lutto ha un suo rito di passaggio che ci salva dall’impazzire, specialmente se chi va via è giovane, ed è stato privato della vita troppo presto.

C’è un “urlo” silenzioso che accompagna la morte, un urlo necessario, oseremmo dire terapeutico, Anna nel suo sfogo, ci ricorda la tristezza della carezza mancata o fatta con un guanto in lattice che crea una barriera con la nuda carne.

Anna ci invia i suoi pensieri, le sue lacrime trasudano dal messaggio accorato che scrive alla redazione “ travestita dalla bardatura, necessaria per evitare i contagi, ricordo di averla abbracciata e accarezzata con i guanti in lattice , non so, scrive se quello sia stato l’unico abbraccio umano avuto in tanti mesi”.

Ci racconta che come lei molti dei suoi colleghi aiutano i pazienti nelle videochiamate con i familiari, si crea un rapporto di confidenza, fiducia, il personale medico e paramedico, diventa un ponte tra il male e la ricerca della normalità.

Non possiamo che ringraziare Anna, per questa importante testimonianza che viene dalle corsie di un ospedale del palermitano, grazie a lei vogliamo continuare a ricordare tutto il mondo della medicina, per l’impegno quotidiano , tutti coloro che si adoperano per gestire questo momento che ricorderemo nella storia come uno dei più tristi.

Non abbassiamo la guardia, nelle nostre case, la paura si nasconde dietro l’angolo, sebbene cerchiamo tutti di essere per quello che possiamo positivi, che si mantenga alto il senso di responsabilità.