Questa volta la notizia, terribile e incredibile al tempo stesso, arriva dal telefono, non dai social, divenuti ormai sinistro bollettino di drammi senza lieto fine. La voce all’altro capo dell’invisibile filo mi comunica che se n’è andato un altro pezzo di storia del calcio siciliano a zampa d’elefante: Carlo Vegna. Conobbi Carlo(nella foto il primo in alto a destra) quand’ero ancora un bambino, e sognavo di fare il calciatore, a Petralia Sottana, dove l’Akragas aveva scelto di svolgere il ritiro precampionato in vista dell’assalto alla promozione in Serie D. Era l’estate del 1977, di lì a poco sarebbe scoppiata la ‘Febbre del sabato sera’, e Carlo era un centrocampista a tuttocampo, potente e assai dinamico, moderno e duttile. Forte. Un pilastro di quello squadrone allenato da Totò Di Gaetano che – se non ricordo male – si schierava più o meno così: F.Morana; Indelicato, Martino; Viviani, La Mantia, F.P.Di Gaetano; C.Vegna, Spagnoli, Lavello, G.Vegna, Montuori (poi sarebbero arrivati Alduina, Galia, Spiga, Ferretti). Carlo era comunque un calciatore a tuttotondo, esponente di una dinastia interminabile, ma anche un eroe che macinava chilometri, spazzando via la polvere dei campi delle serie minori, ammesso che potessero chiamarsi così, tenuto conto della cifra tecnica complessiva dei campionati a cavallo fra gli anni ’60 e ’70. Carlo correva e il suo cuore, lo stesso che oggi ha smesso di battere, pompava sangue ed energia. Carlo era un colosso indistruttibile che, negli allenamenti, guidava il gruppo, che sapeva sacrificarsi e che correva anche per suo zio Beppe Vegna, capace da fermo di mettere il pallone dove voleva. Carlo era dappertutto in campo, mentre fuori dal rettangolo di gioco era un esempio di come ci si potesse divertire con poco. Carlo aveva quel vocione che sentivi anche a un chilometro di distanza e quella risata baritonale e contagiosa. Carlo esibiva una zazzera, castano chiara, che lo faceva apparire come un cavaliere della tavola rotonda. Una specie di Lancillotto del pallone. Carlo se n’è andato in un pomeriggio freddo, grigio e umido, nello stesso giorno di Alberto Malavasi, grande condottiero del Palermo. Carlo ha deciso di lasciarci con troppa fretta e ha continuato a correre anche dopo che il suo cuore si era fermato. Che gli sia lieve la terra.

di Adolfo Fantaccini